Benvenuti nel mio blog

Benvenuti nel mio blog
sito
/a>

lunedì 6 dicembre 2010

Storie di Natale



Quando Santa Claus vestiva di Verde

La volta che fra le trincee si smise di sparare
Le origini del presepe e dei suoi personaggi


(Babbo Natale in una cartolina dei primi del'900. In origine il suo abito era verde: diventò rosso per una pubblicità della Coca-Cola)
Il primo Natale della storia
Che fosse dicembre, e improbabile. Che corresse l'Anno Zero (o più probabilmente Uno), è impossibile. Che fossero presenti un asino e un bue, lo dicono solo alcuni testi che la Chiesa rigetta come apocrifi. Che tutto avvenisse in una grotta, idem. Infine, che nel cielo notturno brillasse una cometa, è una suggestiva leggenda inventata di sana pianta nel clima culturale del tardo Medioevo, 13 secoli dopo i fatti, quando Carlo Magno era già morto da 500 anni e Dante Alighieri aveva già doppiato il famoso "mezzo del cammin" della sua vita. Dunque come fu, in realtà, il primo Natale della storia, quello che si festeggiò a Betlemme due millenni (abbondanti) fa? La domanda è di quelle che Mike Bongiorno avrebbe definito "da cento milioni", perchè le fonti di notizie sono scarsissime. Dei quattro evangelisti canonici, due (Marco e Giovanni) non dicono nulla sul tema; un terzo dedica al Natale un versetto telegrafico:"Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode" (Matteo, 2:1). Solo il vangelo di Luca indugia su qualche dettaglio.
DISUMANIZZATO. Tanto silenzio non deve stupire: i primi cristiani consideravano sconveniente parlare di certi aspetti della vita del Messia, ritenuti troppo "terreni". Ancora all'inizio del terzo secolo, chi cercava dettagli sul primo Natale si tirava addosso il sarcasmo di un padre della Chiesa, Clemente Alessandrino: "Costoro no si contentano di sapere in che anno è nato il Signore, ma con troppa curiosità cercano anche il giorno!". E un altro "padre", Origene (185-254), arrivò a teorizzare: " Nelle scritture solo i peccatori, non i santi, celebrano la loro nascita". In questo quadro non è strano che tre vangeli tracciano sul Natale, ma semmai che uno ne parli. Ecco il testo controcorrente: "Ora, mentre si trovavano in quel luogo (Betlemme, ndr) si compirono per lei (Maria ndr) i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perchè non c'era posto per loro nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria di Dio li avvolse di Luce" (Luca, 2:6-9). Come si può notare, il testo non cita alcuna cometa, alcuna coppia di bue-asinello, alcuna grotta. Parla invece di una mangiatoia, che sottointende una stalla. Ancora: il testo non parla di dicembre e tanto meno del giorno 25. Anzi, i casi sono due: o l'episodio dell'adorazione dei pastori (che ispirò nei secoli seguenti molti artisti) è solo una fantasia, oppure il primo Natale fu in un'altra stagione, visto che l'inverno in Giudea è troppo freddo perchè uomini e greggi dormano all'aperto di notte.
L'affermazione si basa su precisi dati meteo: negli anni '50 un noto storico e divulgatore tedesco, Werner Keller, nel best-seller La Bibbia aveva ragione (Garzanti) si prese la briga di misurare le temperature medie notturne di Hebron, a 20 chilometri da Betlemme: Ecco i risultati: dicembre -2,8°, gennaio -16,6°, febbraio -0,1°. Il tutto abbinato a fitte piogge (dicembre 147 mm, gennaio 187 mm). "Con temperature sotto lo zero" concluse "neppure nella Terra Promessa poteva esserci bestiame al pascolo".
CALENDARI BALLERINI. Quando dovremmo far festa, allora? Il mondo cristiano risponde in ordine sparso. La scelta del 25 dicembre, che oggi accomuna cattolici e protestanti, non è condivisa da ortodossi, copti e armeni, che comunque puntano su date invernali (6 o 7 gennaio, secondo le confessioni e il ritmo degli anni bisestili).
Un tempo il calendario liturgico era ancor più variegato: alla fine del III secolo, quando i cristiani iniziarono a uscire dalle catacombe, in Tunisia il Natale si celebrava il 28 marzo, in Egitto il 20 maggio e a Roma forse mai. Insomma: in assenza di notizie certe, sulla data del "vero Natale" molti sono andati a briglia sciolta, senza timore di essere smentiti.
L'osservazione non riguarda solo i credenti, ma anche i laici, che spesso si sono sbizzarriti a loro volta in ipotesi fantasiose: una trentina di anni fa l'inglese David Highes, in base a calcoli estremamente complessi, lanciò una teoria secondo cui Gesù sarebbe nato il 15 settembre. Si badi: Hughes non era un fanatico religioso in cerca di notorietà, bensì un serio docente di Astronomia dell'università di Sheffield (Inghilterra).
FESTA SOLARE. Quando e perchè, dunque, fra i molti presunti compleanni di Gesù, ha prevalso il 25 dicembre? Chi scava alle radici della festa cristiana non trova evangelisti, ma un paganissimo imperatore romano, un papa e un calligrafo.
L'imperatore era Aureliano, prode militare nato nell'attuale Serbia che, volendo unificare culturalmente il mondo romano, nel 274 istituì per decreto un dio uguale per tutti i sudditi (il sol invictus), fissandone la festa (Dies natalis) poco dopo il solstizio d'inverno, quando le giornate ricominciano ad allungarsi. Così i cristiani trovarono il Natale del Dio Unico già bell'è pronto. E presto sostituirono il Sole con Gesù. Poi arrivò il papa, che si chiamava Giulio I: probabilmente fu lui a fissare ufficialmente la festa a fine dicembre. Ciò accadde entro il 352, quando il cristianesimo era legale. da 40 anni scarsi. Poco dopo o poco prima (fra il 336 e il 354) un calligrafo, tale Furio Dionisio Filocalo, disegnò la Depositio martyrum, il primo calendario liturgico, dove Natale era segnato a ridosso delle "calende di gennaio" (il nostro Capodanno).
Dunque il Natale, festa d'inverno, per eccellenza, nacque per mettere in ombra una ricorrenza pagana? E' l'ipotesi più gettonata, benchè non l'unica. Ma se è così, dai nostri presepi va tolta la farina che, un tempo si spargeva a mò di neve sulle colline: meglio decorare tutto con primule e violette di primavera, o con foglie rosse autunnali.
NIENTE GROTTA. Per fare presepi storicamente corretti, però, andrebbero tolte anche altre cose: per esempio il bue, l'asinello, la cometa e la stessa grotta.
Partiamo dalla grotta. La devozione popolare da 17 secoli la identifica in una precisa cavità (naturale, ma "ristrutturata") lunga circa 13 metri e alta oltre 3, trasformata in cripta all'interno della Basilica (ortodossa) della Natività che si affaccia su una piazza detta "della Mangiatoia", nel centro di Betlemme. Chi scende laggiù trova due altari, un mosaico malconcio e una stella d'argento incastonata nel pavimento, nel punto dove la Madonna avrebbe partorito Gesù: "Hic de virgine Maria Jesus Christus est" avverte una scritta. Ebbene, la venerazione di quella cavità non si basa su prove storiche, nè risale ai primi cristiani: la più antica notizia del culto legato al luogo è del 326, il mosaico è d'epoca crociata e la stella fu collocata addirittura nel 1717. Di più: come si diceva, i vangeli canonici non citano grotte; a parlare sono solo gli apocrifi, quasi tutti del IV-V secolo. Un esempio, tratto dal Vangelo armeno: "Poi Giuseppe scorse una grotta piuttosto grande, dove dei contadini e dei pastori, che lavoravano nei dintorni, si riunivano e mettevano a riparo le greggi".
Agli apocrifi risale anche la tradizione del bue e dell'asinello. Il primo a parlarne fu un testo (forse del IV secolo) a cui un falsario aggiunse la firma di san Matteo: "Tre giorni dopo la nascita del Signore, Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla; mise il bambino nella mangiatoia e il bue e l'asino lo adorarono".
La cometa, infine, è un'invenzione artistica del pittore Giotto, che nel 1303-05 la dipinse nella cappella degli scrovegni a Padova. Da allora la cometa è diventata quasi un dogma. Eppure i testi antichi che raccontano la storia dei Magi, come il Protovangelo di Giacomo, parlano solo dell'apparizione di un astro anomalo: "Una stella grandissima, che brillava tra le altre e le oscurava, così che le stelle non si vedevano".
OCCHIO AL CIELO. Da secoli molti si chiedono se quell'astro era reale o solo un simbolo letterario. Rispondere al quesito può servire a sciogliere anche un'altro interrogativo: quanto tempo fa inizio l'era cristiana? La domanda può sembrare scontata, visto che oggi contiamo gli anni "avanti Cristo" e "dopo Cristo". Ma non è così.
I dubbi nascono dall'esame di due vangeli canonici, in contraddizione fra loro. Matteo colloca la nascita di Gesù "al tempo di Erode". Luca afferma invece che Maria e Giuseppe andarono a Betlemme per un censimento indetto "quando era governatore della Sirua Quirinio". Ma Erode il Grande morì nel 4 sec. a.C. e il "censimento di Quirinio" pare sia del 6 d.C. Quindi i conti non tornano. L'unica cosa chiara e che Cristo non nacque nel primo anno della nostra era, bensì dopo o (quasi certamente) prima.
Per capirne di più occorre passare dal Natale all'Epifania. A far pendere la bilancia a favore dell'ipotesi, a prima vista paradossale, del "Cristo avanti Cristo" è infatti la "stella" dei Magi. Quello strano e luminosissimo astro nel cielo del Medio Oriente, se davvero ci fu, non era nè una stella nè una cometa, ma forse una congiunzione di pianeti. A intuirlo, nel lontano 1603, fu l'astronomo tedesco Johannes Kepler, che sull'argomento scrisse un trattatello intitolato De anno Natali Christi. "Se due pianeti finiscono sullo stesso asse rispetto alla Terra" spiega l'astrofisico Corrado Lamberti "chi li guarda ha l'impressione di trovarsi di fronte a un unico grande astro, più luminoso degli altri. Ebbene, sappiamo che nel 7 a.C. Giove e Saturno si trovarono in questa posizione per ben tre volte. Il fenomeno fu notato da astronomi babilonesi, che ne lasciarono traccia scritta".
Fu dunque quell'incontro Giove-Saturno la "stella" apparsa dopo il primo Natale? Probabilmente si, anche perchè la data è precedente la fine del regno di Erode, quindi compatibilecon la datazione della nascita di Gesù tramandata dal Vangelo di Matteo (prima del 4 a.C). La diversa collocazione temporale suggerita da Luca resta un problema, ma non insuperabile: a porre il censimento al 6 d.C. è una sola fonte, l'antico storico ebreo Flavio Giuseppe, che in fatto di date non era sempre precisissimo. Perciò alcuni storici tendono ad anticipare quel censimento all'8-6 a.C.
PROFEZIE. Ma se Gesù nacque davvero nel 7 a.C., perchè il conto del "dopo Cristo" parte da decennio successivo? Per un involontario errore di calcolo, compiuto da un monaco del VI secolo, Dionigi il Piccolo. E perchè gli apocrifi aggiunsero alle scarne notizie sulla natività dettagli come l'asino e il bue? Per mero zelo teologico. "Si voleva far quadrare la vita del Cristo con le profezie bibliche, per dimostrare che Gesù era l'atteso Messia" spiega Vito Mancuso, docente di teologia all'Università Vita-salute San Raffaele di Milano.
Sono due le profezie che hanno dato origine agli animali del presepe. Ma la prima assomiglia agli enigmatici versi di Nostradamus, dove si può leggere tutto è niente: "Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone" (Isaia, 1:3). La seconda, poi, è solo un errore di traduzione dal greco: "Ti manifesterai in mezzo a due animali" recita una versione latina del libro di Abacuc che confonde il vocabolo zoòn (animale) con zoè (età). Così, per allinearsi a un enigma e a un errore, gli apocrifi falsificarono la Storia. "In realtà parlare di falsificazione di fronte a casi simili è un anacronismo culturale" osserva Mancuso. "Per chi scriveva nei primi secoli era più importante trasmettere messaggi teologici ortodossi più che notizie storiche esatte: Perciò si ricorreva a espedienti narrativi, a forzature che hanno un nome preciso: "teologumeni". Ciò vale anche per i testi canonici: se Matteo e Luca affermano che Gesù nacque a Betlemme, probabilmente lo fanno solo per adattare i vangeli a una profezia".
L'ultima frase sorprendente: Mancuso non solo è cattolico, ma è anche un ex sacerdote che pubblica libri con la prefazione del cardinal Martini; eppure mette in forse la veridicità di due testi sacri. "In realtà io tendo a credere ad altri passi evangelici, dove si suggerisce che Gesù nacque a Nazaret" spiega Mancuso. "Marco, per esempio, afferma questa cittadina della Galilea è la patrìs di Gesù. E la parola patrìs vuol dire appunto "luogo natale". Insomma: i vangeli non sono univoci. E gli storici moderni credono più a Marco". Ma perchè Matteo e Luca avrebbero "falsificato" il luogo di nascita di Gesù? "Perchè secondo una profezia il "Messia" doveva venire al mondo a Betlemme" conclude lo studioso. "Il testo a cui allude Mancuso è un versetto biblico tratto dal Libro di Michea, cade anche l'ultima certezza: dopo la grotta, l'asinello, il bue e la cometa, dalla scena del premio Natale esce persino Betlemme, falsa patrìs di Gesù.
Il presepe vivente di Gesù importato dalla Francia
Dove e quando nacque il presepe? Ufficialmente a Greccio (Rieti) nel 1223, su iniziativa di san Francesco d'Assisi e di un pio signorotto locale, Giovanni Vellita. A raccontarlo è Tommaso da Celano (1190-1260), un frate che scrisse una biografia del santo. Queste, secondo Tommaso, le disposizioni date da Francesco a Giovanni: "Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza di cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello".
Dal vivo. Il nobile Vellita eseguì, realizzando un presepe vivente, dove anche l'asino e il bue erano veri. Solo gesù neonato era un bambolotto, realizzato dalla moglie di Giovanni, madonna Alticana.
Precisazione doverosa: quello di Greccio non fu il primo presepe nel mondo, ma al massimo il primo in Italia, perchè già nei decenni precedenti rappresentazioni della Natività di Gesù si tenevano in Europa e soprattutto in Provenza, dove è ancora vivissima la produzione dei santons, le statuette del presepe.


Londra, 1657: Natale vietato
Il Natale non fu sempre sinonimo di festa: dal 1647 al 1657, nel pieno della Guerra civile inglese, il governo del puritano Cromwell proibì la festività declassandola a un giorno di "penitenza ed esame di coscienza" in cui l'obbligo non era festeggiare, ma lavorare. Non si sa in quanti obbedirono, ma il Parlamento dette il buon esempio riunendosi propio il 25 dicembre. Lo stesso avvenne per Pasqua e Pentecoste. L'obbiettivo, secondo gli storici, era evitare che l'arcaico ciclo di lavoro e festa trasformasse la ricorrenza religiosa in un periodo di bisboccia, come accadeva ancora nel Medioevo.
Nel 1659 lo stesso provvedimento fu varato in America, nelle colonie fondate dai puritani espatriati dall'Inghilterra. Nel massachusetts la festività del Natale fu bandita almeno fino al 1681.
Ignorato. Questa messa all'indice in parte del mondo anglosassone spiegherebbe come mai oltre un secolo dopo, in Inghilterra, il Natale non facesse notizia. Un commentatore di inizio Ottocento notò che il quotidiano inglese Times, dal 1790 al 1835, non l'aveva mai menzionato, neppure il 25 dicembre.

Pace in trincea
Molti la considerano la più bella favola di Natale, paragonandola a un miracolo. Nei libri di Storia non ce n’è quasi traccia, tuttavia se ne parla in film e romanzi, nonché in una struggente canzone folk dell’artista inglese Mike Harding, dal titolo Christmas 1914. Eccone alcuni versi: “I fucili rimasero in silenzio […] senza disturbare la notte. Parlammo, cantammo, ridemmo […] e a Natale giocammo a calcio insieme, nel fango della terra di nessuno”. La partita in questione si svolse realmente, e fu giocata il 25 dicembre 1914 nei pressi della cittadina belga di Ypres. Campo di gioco: la no man’s land (“terra di nessuno”), lo spazio che divideva le trincee inglesi da quelle tedesche. Fu il momento culminante di quella che passerà alla Storia come “tregua di Natale”.
CONFLITTO. Nell’estate del 1914 l’Europa era divenuta teatro di una guerra che vedeva opposti due grandi schieramenti: Gran Bretagna, Francia e Russia da una parte; Germania, Austria-Ungheria e Turchia dall’altra. Più tardi sarebbero entrati nel conflitto anche Bulgaria, Giappone, Italia, Stati Uniti e una serie di Paesi “minori”, trasformando così la contesa nella prima guerra su scala globale dell’umanità. All’inizio il fronte più caldo fu proprio quello occidentale (tra il Belgio e il Nord della Francia) dove inglesi, francesi e belgi dovettero contrastare l’avanzata tedesca. Dopo una sanguinosa battaglia nei pressi di Ypres, a fine autunno gli eserciti si ritrovarono però impantanati (qui e altrove) in un’estenuante guerra di logoramento tutta combattuta intorno alle trincee. Da questi fossati profondi un paio di metri e rinforzati alla buona con tavole di legno, i soldati si lanciavano quotidianamente all’assalto del nemico, guadagnando o cedendo ogni volta pochi metri di terreno e trascorrendo il resto della giornata tra fango, pioggia e cadaveri in decomposizione. Queste condizioni riguardavano tutti e il “mal comune” provocò presto il verificarsi di episodi di solidarietà tra nemici (che si trovavano peraltro a pochi passi di distanza gli uni dagli altri). I soldati dei due eserciti cominciarono a scambiarsi alcuni “favori”, come non aprire il fuoco durante i pasti. Quel che contava era salvare le apparenze con i superiori (si rischiava l’accusa di tradimento) e portare a casa la pelle.
GIU' LE ARMI. Il compito di punire i soldati che si fossero mostrati troppo concilianti con i nemici spettava agli ufficiali dei comandi, gli unici che avrebbero potuto stabilire una tregua. Tale regola, a Ypres e in altre zone del fronte, sarebbe però stata infranta nel dicembre del 1914. Dopo aver dato ordine alle truppe di non interrompere per nessun motivo i combattimenti, i comandi dei due eserciti fecero arrivare nelle prime linee piccoli pacchi dono (era pur sempre Natale) contenenti dolci, liquori, tabacco, alberelli natalizi e candele. A Ypres, la sera della vigilia, i tedeschi addobbarono le postazioni scambiandosi gli auguri e cantando motivetti natalizi; in una trincea qualcuno intonò la canzone Stille nacht, Silent night per gli inglesi. Da quel momento, e per buona parte della serata, i soldati dei due eserciti non smisero più di cantare, ognuno nella propria lingua e ognuno al riparo della propria postazione. “Quando addobbammo gli alberi e accendemmo le candele, dall’altra parte giunsero fischi di gioia e applausi […]. Poi cantammo tutti quanti assieme” testimonierà in seguito il soldato tedesco Kurt Zehmisch, nel libro Silent night: the story of the World war I Christmas truce, il libro dello storico americano Stanley Weintraub che negli Anni ’80 ricostruì la vicenda. Al momento di andare a dormire un po’ tutti erano ormai convinti che qualcosa di straordinario stesse per verificarsi: all’alba i tedeschi esposero infatti piccoli cartelli con le scritte “Buon Natale” e “Non sparate, noi non spariamo”. Era il segnale d’inizio.
FRATELLANZA. Ricominciarono i canti e gli applausi, poi dalla trincea tedesca uscì un uomo: nella nebbia gli inglesi lo intravidero appena, quanto bastava per notare che era disarmato. I britannici, increduli, uscirono dai loro ripari e si incamminarono verso i tedeschi, che fecero altrettanto. “Ho visto la cosa più straordinaria che si possa vedere: stavamo per sparare a quel tedesco […] e poco dopo eravamo tutti in festa” scrisse il soldato inglese Dougan Charter in una lettera alla famiglia. Dopo aver sepolto i corpi dei commilitoni uccisi nei combattimenti dei giorni precedenti, i due schieramenti fraternizzarono, preparando una festa in piena regola. “Fritz portò sigari e brandy, Tommy della carne di manzo e sigarette” canta Mike Harding nella sua canzone. Senza inventarsi nulla: nel diario di campo del 133° Reggimento sassone si parla infatti di un tedesco di nome Fritz e anche di Tommy, un soldato inglese che si mise a tagliar capelli ai nemici in cambio di qualche sigaretta. Nel frattempo attorno a lui tutti si scambiavano abbracci e visite di cortesia. Inglesi e tedeschi si regalarono caffè e cioccolata, marmellata e sigari, tè e whisky, nonché alcuni accessori delle divise. Ci fu persino chi si fece fotografare in gruppo. “Non vi fu un solo momento di odio: per un po’ nessuno pensò più alla guerra” disse il soldato britannico Bruce Bairnsfather. Quasi una scena da film, che in effetti si ritroverà nel copione di Joyeux Noël, pellicola del 2005 di Christian Carion.
IN CAMPO. Prima che gli altri comandi potessero intervenire interrompendo la tregua, i soldati fecero un patto solenne: nel caso di ripresa dei combattimenti nessuno avrebbe mirato ad altezza uomo, ma reso inoffensive le munizioni “sparando alle stelle in cielo”. La notizia della tregua intanto si diffuse, e in poche ore la febbre da armistizio contagiò due terzi del fronte occidentale: quasi dappertutto inglesi e tedeschi si tesero la mano e festeggiarono assieme. Il simbolo di quell’insolito Natale di guerra divenne la partita di calcio che si tenne a Ypres fra le truppe inglesi del reggimento Scottish seaforth highlanders e quelle tedesche del Reggimento sassone (ma quel giorno le partite di calcio furono in realtà più di una). I palloni furono messi insieme con stracci pieni di sabbia legati con lo spago, mentre le porte furono delimitate da pile di cappotti: per qualche ora la “terra di nessuno” si trasformò in un campo di calcio. Nei giorni successivi, i familiari dei soldati furono inondati di lettere e foto dell’evento, che finirono ai quotidiani. La stampa (sottoposta alla censura) ne ritardò però la pubblicazione e le prime notizie trapelarono solo sul New York Times. A quel punto si svegliò anche la stampa europea, e il 1° gennaio 1915 il londinese Times pubblicò un articolo su quella partita, riportando anche il risultato finale: 3 a 2 per i tedeschi. Le notizie sulla tregua trovarono in seguito sempre più spazio sui giornali nordeuropei, con titoli euforici e commossi come: “Straordinario: inglesi e tedeschi si stringono la mano”.
SIPARIO. In alcuni casi la tregua durò fino a Capodanno, ma quasi ovunque tutto finì la sera stessa di Natale. “Ci salutammo e rientrammo nelle trincee […] poi udimmo dei colpi […]: la guerra era ricominciata” ricorderà malinconico il capitano inglese J. C. Dunn. Ma gli alti comandi dei due eserciti non ebbero nessuna nostalgia di quell’evento. Si diedero da fare per impedire che altre scandalose tregue si ripetessero: si andò dalla minaccia di corte marziale per chiunque avesse avuto contatti con il nemico all’idea di bombardare le trincee nei giorni precedenti ogni Natale. Inoltre, per evitare che i soldati familiarizzassero col nemico, fu deciso di spostarli a turno in diverse zone del fronte. Partì anche un’operazione di censura di qualsiasi notizia che riguardasse la tregua del 1914 e si arrivò a negare ufficialmente che fosse mai avvenuta. Tutto ciò non bastò a impedire futuri “gemellaggi”. Ma lo spirito di quel primo Natale di guerra non fu mai più eguagliato. Lo riassumono i ricordi del soldato inglese George Eade: “Un tedesco mi sussurrò con voce tremante: oggi abbiamo avuto la pace, ma da domani tu combatterai per il tuo Paese e io per il mio. Buona fortuna”. Poi, in silenzio, tornò dalla propria parte. Il miracolo era finito.
MASSACRO. Nel 1915 la guerra riprese più dura che mai. E negli anni successivi Ypres divenne famosa per i bombardamenti con armi chimiche che coinvolsero anche la popolazione (la cittadina diede il nome a uno dei gas utilizzati, l’iprite). Ad annunciare il ritorno alla normalità guerresca, tra i britannici, fu un secco comunicato alle truppe: “Mai più tregue, partite di calcio incluse […]. In guerra non bisogna mai interrompere l’uccisione del nemico”. E così, in pochi mesi, quella bella storia di Natale fu relegata nell’oblio. Non tutti la presero male: un soldato di origini austriache, all’epoca dei fatti di stanza proprio nella zona di Ypres, fu ben lieto di ricominciare a sparare, avendo criticato con violenza quella “stupida tregua”. Il suo nome era Adolf Hitler. Di opinione opposta, invece, restò sempre Bertie Felstead, un signore inglese morto il 22 luglio 2001, a 106 anni. Bertie era l’ultimo reduce ancora in vita ad aver preso parte a una certa partita di calcio giocata in uno speciale giorno di Natale: la meno famosa, ma forse la più straordinaria della Storia.

La vera storia di Babbo Natale

La nascita del più famoso porta doni, tra folletti nordici e santi cristiani, fino alla Coca-Cola.

Quando è nato Babbo Natale? Anzi: quando, come e soprattutto dove? Tre Paesi (Norvegia, Svezia e Finlandia) si disputano la cittadinanza esclusiva e la paternità del personaggio simbolo del Natale laico. Che però è figlio di molti padri e molte patrie (inclusi gli Usa) e ha varie date di nascita, sgranate fra l'alba dei tempi e gli Anni '30 del Novecento. Insomma, l'odierno Babbo Natale è nato "a tappe" dalla sovrapposizione di personaggi diversi, fra qui vari genietti dei miti nordici e un paio di santi cristiani.

FOLLETTO. Non c'è dubbio che l'anziano dispensatore di doni abbia le sue radici nel Nord Europa, dove conta tre residenze "ufficiali", dotate di uffici postali dedicati, che gestiscono le lettere spedite dai bambini: in Finlandia c'è Rovaniemi, cittadina sul Circolo polare; in Svezia Tomteland, sul lago Siljan, a nord-est di Stoccolma; in Norvegia Drobak, sul fiordo di Oslo. La tripla residenza è logica, perchè Babbo Natale ha antenati in tutte e tre i Paesi: i tomten in Svezia, i nissen in Norvegia e joulupukki in Finlandia.

I tomten e i nissen sono folletti della mitologia vichinga, che secondo la tradizione vivono sotto le abitazioni degli uomini e campano dei loro avanzi. Per questo nelle campagne scandinave, ogni giovedì sera, per tutto l'anno i bambini mettono fuori dalla porta i resti della cena. I folletti ricambiano in inverno, portando loro dei doni. Quanto a joulupukki, porta doni a sua volta, ma è una capra che secondo un'antica leggenda lappone vivrebbe sulla Korvatunturi, una strana altura a forma di orecchia, a ridosso del confine russo.

COLLEGHI. A questi portatori di doni dal Dna pagano si sono affiancati due "colleghi" cristiani: san Basilio nel mondo slavo e san Nicola in quello germanico. Il primo, in origine, non girava per le case a Natale, ma a Capodanno. E tutt'ora il secondo fa lo stesso il 6 dicembre, vestito da vescovo e in compagnia di un diavolo (Krampus). Si tratta di figure ben diverse dai folletti nordici, eppure propio san Nicola (in olandese Sinter Klaas, storpiato poi in "Santa Claus") ha finito per fondersi coi tomten-nissen.

FATTO VERDE. Ma dove ha avuto luogo l'improbabile sovrapposizione? In America, a inizio '800: la più antica traccia scritta di questo "sincretismo" è una poesia pubblicata nel 1823 sul Sentinel, un giornale di Troy (New York) è dedicata a un "Santa Claus" che però somigliava ai nissen e viaggiava su una slitta con renne. L'iconografia saltò il fosso più tardi, nel 1875, quando una pittrice svedese, Jenny Nystrom, lanciò una serie di cartoline augurali con le prime immagini di un Babbo Natale moderno, ma che vestiva di verde. Fu l'illustratore americano Haddon Sundblom, nel 1930, a codificare l'abito biancorosso che conosciamo. Perchè la scelta? Perchè la committente di Sundblom era la Coca-Cola, che usò poi Babbo Natale come testimonial fisso della sua bibita, venduta in lattina con gli stessi colori. Così Santa Claus partì alla conquista del mondo, in tandem con la Coca. Cui il mondo comunista reagì rispolverando la figura di Ded Moroz (Nonno Gelo).

Tratto da "Focus Storia", dicembre 2009