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domenica 22 agosto 2010


Auguri Rosmary!
Per i tuoi 14 anni di fidanzamento!

Andate su http://ilpuntodeldisordine.blogspot.com/ e ammirate tutti il regalo che ho creato per la mia cara amica


lunedì 16 agosto 2010



Impariamo a fare i
"Pomodori secchi sott'olio"


Potete consultare la ricetta sul link:
http://lefantasiediunmestolo.blogspot.com/


Quello che so di questa conserva antichissima e che veniva fatta dalle nostre antenate per poter sopravvivere meglio all'inverno.
I pomodori seccati al sole esistono dai tempi di Cristoforo Colombo, nel 1492, data della scoperta dell'America, o più corretto dire: di un nuovo continente. Fu questo grande personaggio ad esportare questo buon ortaggio insieme alla patata, che è un tubero, al caffè, al mais, ai legumi...e tanto altro. Questo contribuì alla crescita demografica del tempo, in quanto non esistevano molti cibi in grado di dare sazietà a sufficienza, e ne aumentavano i decessi soprattutto nei bambini, in media arrivavano fino ai 12 anni, solo 2:5 sopravvivevano alle grandi carestie del tempo.
Il pomodoro secco fu un alimento fondamentale, insieme alla patata e al mais, alla sopravvivenza della storica carestia avvenuta nel 1600. Lo stesso Alessandro Manzoni ne racconta le vicende e la tragedie ne I promessi sposi.
Questo tipo di pomodoro, essiccato al sole, quindi privo di liquidi, si mantiene per molti mesi nelle cantine e le nostre antenate li usavano per poter preparare sughi e pietanze del tempo. Ancora tutt'ora esiste questa cultura, ma usata per dar sapore non per sopravvivere alle intemperie invernali.
Con la venuta della rivoluzione industriale l'uomo a saputo sfruttare meglio il terreno, creando così serre, ancora tutt'ora attuali, per la coltivazioni di molti prodotti, anche nelle stagioni fredde. Creando così l'industria del pomodoro.
L’industria del pomodoro è creatura tipicamente italiana. La sua culla sarebbe stata Parma, nelle cui campagne dopo la metà dell’Ottocento i contadini producevano pani di polpa essiccata, tra nugoli di mosche, al sole, e non per nulla chiamati “pani neri”. Avrebbe imposto la svolta il professor Rognoni, docente all’Istituto tecnico cittadino, che avrebbe sperimentato la coltura, nei propri poderi, dal 1865, e sarebbe stato protagonista della diffusione, prima del 1895, dei primi processi razionali, presto adottati da numerosi laboratori artigianali. Nel 1875 il torinese Francesco Cirio ha creato, intanto, a Napoli, la prima industria conserviera meridionale. I laboratori a Parma sono 4 nel 1893, 5 nel 1894, 11 nel 1896. L’industria parmense acquisisce un autentico primato europeo dopo l’importazione dalla Francia, nel 1905, delle apparecchiature per la condensazione del “concentrato” sottovuoto. Le imprese parmensi sono, l’anno medesimo, 1916, tutte dotate di apparecchiature moderne, quando da Parma l’industria inizia a dilatarsi alla vicina Piacenza. Insieme le due province conseguiranno l’indiscusso primato mondiale del “concentrato”, mentre la grande industria di Cirio nel Mezzogiorno si specializzerà piuttosto nei “pelati”, ottenuti dal tipico pomodoro campano, il San Marzano.

giovedì 12 agosto 2010


Oggi il mio blog compie un mese! Giorno dopo giorno cresce e diventa sempre più ricco come un bimbo allevato dalla sua mamma. Spero gradirete anche voi visitatori la mia passione sull'arte creativa e tutti gli altri contenuti postati fin'ora. D'altronde in un blog si può mettere quello che si vuole e il mio piccolo mondo è formato da questo e tanto altro.

Tante belle cose a tutti, e...

Auguri...
creatura mia multimediale

mercoledì 4 agosto 2010


La storia del Ricamo


Il ricamo è un’arte antichissima, apparsa molto probabilmente in Oriente, poi arrivata in Occidente. La storia del ricamo può essere ricostruita per la maggior parte citando fonti storiche e iconografiche e, solo in piccola parte, studiando i reperti autentici.Si parla di ricamo nella Mitologia, nei poemi di Omero e di Virgilio e nella Bibbia; quando Mosé prepara il Santo Tabernacolo lo descrive con queste parole: "…fece il velo di porpora viola e di porpora rossa, di scarlatto e di bisso ritorto. Lo fece con figure di cherubino, lavoro di ricamatore." (Esodo 36,35).Non mancano, anche se ridotti in piccolissimi frammenti, testimonianze autentiche: in Egitto sono state rinvenute strisce decorative risalenti a secoli prima di Cristo, così anche in Attica dei pezzi di lino ricamati risalenti all’epoca classica; data la loro precisione ed accuratezza si desume che fossero frutto di una scuola regolare e formalmente codificata. Sono già presenti molte specie di punti, quali: filza, erba, punto croce semplice e orientale, gobelin.Il ricamo rappresentava il modo più semplice per impreziosire e personalizzare, aumentandone così dignità e prestigio, i capi d’abbigliamento indossati da personaggi di grande risalto politico o religioso.In Italia, e precisamente in Sicilia, questa arte inizia intorno all’anno mille, durante il dominio dei Saraceni, che vi introducono laboratori di tessitura e di ricamo, rispettivamente Thiraz e Rakam, dai quali escono manti cerimoniali di grande pregio. La parola ricamo deriva dal lemma arabo raqm (racam) che significa “segno, disegno”.Durante il regno dei Normanni, in particolare di Ruggero II, la maestria dei ricamatori e tessitori è tale che i loro manufatti sono degni di Papi e Imperatori. Ci rimane, quale monumentale testimonianza, il Mantello da incoronazione del "Sacro Romano Impero", ricamato con oro e perle, con un motivo di cammelli assaliti da leoni tigrati, a specchio, separati da una palma da datteri, simbolo dell’albero della vita. Fu ordinato nel 1133 e fu portato a termine nel 1134; ora è conservato nel Kurstgeveben Museum di Vienna. Molto probabilmente la tecnica e i decori sono stati portati presso le altre maggiori corti della Penisola dalle stesse maestranze arabo-sicule, costrette a fuggire sulla fine del secolo XIII a seguito della rivoluzione dei Vespri.I motivi ornamentali sono, in quell’epoca, ancora limitati a pochi elementi fitomorfi (albero della vita, giglio) e zoomorfi (grifoni, pappagalli, aquile), resi in maniera schematica ed essenziale.Come esempio a se stante, relativo all’arredo, resta fondamentale l’arazzo di Bayeux, detto anche della Regina Matilde. Realizzato tra il 1066 e il 1077, su tela di lino grezza con lana colorata, racconta, con punti di ricamo semplici, quali il punto erba e catenella, la conquista normanna dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore.La rappresentazione è spontanea e viva e si immagina sia stato un combattente stesso a disegnarla, per le figure schematiche, ma efficaci. Le misure monumentali, m.70 per cm. 50, ne fanno un pezzo veramente unico e raro, nel contesto del ricamo profano romanico.Nel XIV secolo, anche l’Inghilterra vanta un’ottima scuola di ricamo, detta Opus anglicanum, caratterizzata dall’uso di sete policrome e dalla grande raffinatezza dei lavori. Nei lavori sono rappresentate per lo più simboli dell’Antico e del Nuovo Testamento e storie di Santi, con una chiara funzione didattica.Nel mantello di “Syon-Cope”, la disposizione dei Santi è in circoli concentrici, le figure sono racchiuse in ottagoni con archi, gli spazi vuoti sono riempiti da angeli. La caratteristica di questi manufatti è

data non tanto dai punti di ricamo utilizzati, che non variano molto da un paese all’altro, ma dallo stile con il quale sono rappresentati i personaggi, poiché sono tratteggiati in modo "terreno", con atteggiamenti teatrali. La Chiesa assegna al ricamo il compito di edificazione religiosa. Il materiale che il medioevo offriva per i soggetti era inesauribile: non solo figure del Vecchio e del Nuovo Testamento, ma anche la crescente schiera di Santi presentava un’infinita abbondanza di avvenimenti interessanti e meravigliosi che apportavano ai fedeli edificazione e meraviglia, ma anche timore e commozione. Dal Medioevo fino al XVI secolo inoltrato, i ricami sono sovente portatori di tradizioni popolari e di poesia, ma anche di leggende profondamente radicate nell’animo dei popoli.Anche in Germania il ricamo ha origini antiche; qui troviamo l’Opus Teutonicum, caratterizzata dal ricamo bianco su bianco, con una grande varietà di punti per creare un effetto a rilievo. Questo tipo di lavoro forse fu inventato per sopperire alla mancanza delle preziose sete colorate e fronteggiare, con l’abilità manuale, alla fastosità del colore. Con questa tecnica si prepararono tovaglie d’altare, drappi quaresimali, veli da calice. Anche in Svizzera si produce un ricamo, che oltre che svolgere uno scopo ornamentale di arredo, come gli arazzi in genere, anche uno scopo protettivo contro il freddo: lo realizzano le donne nobili, le borghesi e le suore nei conventi, tanto che il punto adoperato (punto croce semplice e orientale) sarà anche detto “monastero”.In Italia, fin dal Trecento, sono documentati laboratori in tutta la penisola e in particolare a Firenze. L’arte è conosciuta come Opus florentinum. Molti reperti di “pittura ad ago” attestano una grande qualità e una certa ariosità spaziale tipicamente italiana.Soprattutto nel quattrocento e nel cinquecento, è documentata la collaborazione fra le “arti maggiori” e le “arti minori”, così accade che grandi maestri di pittura, come il Botticelli e Bartolomeo di Giovanni, preparino i cartoni per i ricamatori che poi li trasferiranno su piviali o paliotti. L’arte del ricamo era prerogativa maschile, suo era il nome della bottega, tuttavia ci sono prove documentali che comprovano anche la presenza femminile e non solo monacale.In particolare, era il passatempo preferito delle nobili dame ed è per queste che nel ‘500 sono pubblicati i primi libri di modelli di ricami. Una delle pubblicazioni più antiche sembra essere Il burato, libro de ricami, di Alex Paganino, senza data, ma probabilmente del 1527. Seguiranno di Giovanni Tagliente "Esemplario novo" che insegna alle donne a “cuscire, a recamare e a disegnare”.Grande successo avrà anche l’opera di Giovanni Ostaus, “La vera perfettione del disegno di varie sorti di ricami”, che sarà riedito varie volte, nel 1557 e nel 1591. I bellissimi disegni proposti presentano sia disegni geometrici, ispirati ai giochi decoratici dei giardini all’italiana, ma anche ai ghirigori e arabeschi orientaleggianti, e alle eleganti volute fitomorfe, di vite con grappoli d’uva e viticci, di quercia con ghiande, di melograni. I punti usati sono il punto scritto, il punto piatto, il punto pittura, l’erba, il catenella, il riccio, utilizzando finissimi fili di seta policromi e metalli preziosi.Dei ricami dell’epoca non mancano documentazioni iconografiche nella copiosa ritrattistica pittorica: sono così molto ben visibili i ricami di seta color ruggine, blu, rossa, nera oppure con filato d’oro, a sottolineare gli scolli e i polsi delle camice da giorno.Nell’arredo, su schienali e sedili di poltrone, si imita con l’ago, a punto croce o a piccolo punto, l’effetto arazzo delle “tapisseries” fiamminghe ed italiane.
In Francia la riorganizzazione dell’Arti e dell’Artigianato determinata dall’accorta politica di Jean Baptiste Colbert, ministro di Luigi XIV, riunisce in un unico luogo, dov’era esistita la manifattura d’arazzi di Gobelins, tutti i laboratori destinati a produrre soltanto per il re. Sotto la direzione del pittore Le Brun, dal 1663, una équipe di artisti rinomati, tra cui scultori, architetti, ebanisti, incisori, tessitori e ricamatori, vengono riuniti nella “Grande Fabrique” per creare gli arredi dei sontuosi interni ed il guardaroba personale del loro sovrano.La moda dei ricami coinvolge le “nobili et virtuose donne” europee, che continuano a trovare in quest’arte un modo materiale e spirituale di evadere dalla quotidianità familiare. A Venezia si occupa di ricamo persino suor Arcangela Tarabotti, la scrittrice femminista ante litteram.Si diffondono ovunque gli Istituti di religiose che accolgono giovinette abbandonate per insegnare loro un mestiere, di ricamatrice o merlettaia, e per aiutarle poi, anche con l’apporto di una dote messa da parte in anni di lavoro all’interno del collegio, ad inserirsi degnamente in società.Nel Settecento si assiste addirittura ad un aumento di ricami, anche se forse meno rilevati e spessi.Viene usato prevalentemente per l’abbigliamento maschile, “camiciole” e “velade” si arricchiscono di bassorilievi auro-serici lungo le bottonerie e sui bottoni, attorno alle tasche, a sottolineare gli orli degli scolli, gli spacchi, risvolti, sui paramani delle maniche sagomate. Sono per lo più fiori, di tutte le tipologie, a mazzi, a tralci a ghirlande, intrecciati a nastri, nodi d’amore, nappe, conchiglie e piume. Quanto all’arredo si accrescono le occasioni per utilizzare superfici ricamate: si assiste per esempio alla creazione di una varietà di sedie sconosciute in precedenza, come i “canapès”, le “Bergeres” con poggiatesta, i poggiapiedi, i paraventi, ed infine i letti, con baldacchino, tendaggi, mantovane, buonegrazie. È il trionfo del piccolo punto, delle raffigurazioni allegoriche e mitologiche, delle grottesche arricchite di animali esotici. Questo lavoro a punti contati su canovaccio è il più facile di tutti i ricami, così che tutte le dame del mondo vi s’impegnarono molto. La stessa Maria Antonietta realizzò tappezzerie di questo genere che destinava al suo appartamento da Caccia alla Tuileries.Una nuova “Rinascenza” dell’Arte del ricamo si avrà nell’Ottocento

Imparaticci


Pare che l’abitudine di appuntare le figure o i punti su un telo come esercizio sia sempre esistito, ma solo agli inizi del XVI secolo questi lavori vengono menzionati attribuendo loro un nome.Nei paesi anglosassoni questi si chiamano SAMPLERS (dal latino EXEMPLUM), modello da imitare, in Francia prendono il nome di MARQUOIRS, che deriva da POINT DE MARQUE, altro nome del punto croce, perché destinato a “marcare” la biancheria, in Italia IMPARATICCI, esercizio per le fanciulle.Il primo riferimento scritto si trova in un libro per la contabilità, del 1502, di Elisabetta di York, moglie di Enrico VII, dove è annotato il prezzo di "una pezza di lino da usare per un sampler per la regina".Lo sviluppo dell’imparaticcio nel XVI secolo è direttamente connesso alla diffusione del ricamo dilettantesco. Le dame delle classi agiate dedicavano ormai molto del loro tempo al ricamo e il sampler era usato come una sorta di quaderno di appunti, nel quale registrare motivi decorativi e punti di lavorazione da consultare alla bisogna.
Nel XVI secolo la forma degli imparaticci riflette il loro scopo pratico di campionario.Sono composti da rettangoli lunghi e stretti, generalmente pari alla larghezza del telaio, il tessuto di base è il lino e i ricami sono eseguiti generalmente con un filo di seta. In alcuni casi si hanno imparaticci lavorati in ambo i sensi tanto che gli alfabeti possono apparire capovolti. I motivi sono disposti senza ordine, aggiunti a caso gli uni agli altri. Questi imparaticci stretti e lunghi erano spesso avvolti intorno ad un manico o arrotolati dentro ad un cestino da lavoro, affichè la ricamatrice potesse facilmente consultarli e trarne ispirazione per i suoi lavori. L’imparaticcio più antico che esiste è conosciuto come SAMPLER DI JANE BOSTOCKE, 1598, conservato a Londra, nel Victoria and Albert Museum. Gli elementi figurativi, floreali e geometrici sono chiaramente ispirati ai libri di modelli cinquecenteschi d’origine italiana; è stato eseguito con fili di seta con l’aggiunta di perline, fili metallici, in una gran varietà di punti. La disposizione arbitraria degli elementi figurativi e dei motivi decorativi sono la riprova della funzione di promemoria dell’imparaticcio.
Nel XVII secolo, gli imparaticci cominciano a perdere la loro funzione di campionario, data la crescente diffusione di libri di modelli e motivi di ricamo, e vengono così ad assumere la funzione di dimostrazione di bravura. Molti dei capi presentano un elevato livello d’abilità tecnica e una vasta gamma di punti che include: il punto raso, catenella, asola, croce e spina. Era molto diffusa inoltre la tecnica dei punti tagliati e dei fili tirati.Gli alfabeti appaiono per la prima volta nel 1643 (anche se è un motivo già presente nei testi di modelli cinquecenteschi), generalmente venivano scritte tutte le lettere, eseguite in diverse dimensioni, maiuscole, minuscole, semplici o contornate col punto scritto, o in scrittura gotica.Di questo periodo si conoscono due tipi di Sampler: uno a strisce e uno a schema libero.Il sampler a strisce è solitamente lungo e stretto e ricamato con bordure a fascia o a file di disegni ripetute. In questo periodo si diffonde la pratica di scrivere il nome della ricamatrice e la data d’esecuzione. Tipico del periodo quest’esemplare, (1657) ricamato in seta policroma, che presenta tre strisce di fiori stilizzati e una fila di lettere alla base. I motivi delle strisce attingono ancora ai libri di modelli d’origine italiana, perlopiù basati su soggetti naturali, quali ghiande, tralci d’uva e foglie d’acanto, in perfetto stile rinascimentale.Nell’imparaticcio a schema libero, di forma quadrata, i motivi sono distribuiti su tutta la superficie e presenta una varietà di motivi naturalistici e figurativi posti a piacere e brevi sezioni di bordure. Sono assai diffusi garofani, cardi, tulipani, e tralci d’uva, inoltre cervi, uccelli e farfalle, non ché insetti, a dimostrazione dell’interesse dell’epoca per la natura.Questo tipo d’imparaticci, sebbene raramente firmati o datati, sembrano assai popolari nel corso dell’intero secolo e suscitano un certo fascino naïf.
Nel XVIII secolo lo scopo pratico delle origini è ormai dimenticato. L’imparaticcio diventa più che altro un oggetto decorativo, con uno schema generale di motivi ben bilanciati e disposti attorno ad un asse centrale. I motivi architettonici divengono uno dei motivi più popolari, si ricamano grandi case signorili, come la casa di famiglia o un edificio di una qualche importanza della città, mulini a vento, pagode, templi classici, raffigurati assieme a pastorelli, cani, cervi e una grande varietà d’animali. Appare nel 1709 anche il motivo di Adamo ed Eva che ebbe molta fortuna e popolarità.L’imparaticcio assume anche una funzione morale ed educativa, così appaiono trascritte poesie o preghiere o brani della Bibbia. Questi sono presenti soprattutto nei sampler di ambiente anglosassone, perché trascrivere brani religiosi aveva un duplice fine: esercitare la scrittura ed insegnare alle giovani i precetti morali. Così attraverso un metodo di lavoro si diffondeva una capillare e costante educazione alle virtù religiose e ad una migliore alfabetizzazione.Alla crescente quantità di poesie ricamate corrisponde una diminuzione di varietà dei punti usati. La difficile lavorazione a punti tagliati e tecniche complesse sono gradualmente abbandonate e viene sempre più usato il solo punto croce.

Il XIX secolo è il secolo d’oro del punto croce. Con il progresso della stampa, da Berlino si diffondono in tutta Europa schemi di punto croce stampati su carta quadrettata e colorati a mano: la domanda è tale che nel 1840 se ne pubblicheranno ben 14.000!Il ricamo diviene l’occupazione privilegiata sia per le aristocratiche dame, che lo fanno per diletto, che delle classi popolari che lo fanno per lavoro. Avvenendo in convento l’educazione delle fanciulle di buona famiglia, gli imparaticci abbondano di simboli religiosi, come cuori trafitti, crocefissi, figure di madonne e santi. Il clima romantico influenza anche le frasi ricamate negli imparaticci, così abbondano celebrazioni all’amore, all’amicizia, alla morte. Vengono usati copiosamente anche animali come: cani, gatti, pappagalli oltre che trionfi di fiori spampanati.Con il progresso della chimica, i fili da ricamo crescono di una infinità di colori. Tuttavia le cifre sulla biancheria restano rosse, perché il rosso è il solo in grado di resistere ai lavaggi. Il filato di seta viene sostituito dal cotone e dalla lana. Il tessuto di lino viene sostituito dal cotone; si inventa il canovaccio “Penelope”, con due trame orizzontali attraversate da due orditi verticali, che permette di alternare punti grandi e piccoli.
A partire dalla seconda metà del XIX secolo, gli imparaticci svolgono una semplice funzione didattica e perciò perdono spontaneità e creatività. L’interesse delle fanciulle si rivolge ora verso il “ricamo artistico”, forma creativa di ricamo che si sviluppò per l’influenza di William Morris, artista inglese interessato alla storia del ricamo e al revival del lavoro ad ago che considerava una cosa seria.
Oggi l’imparaticcio è diventato un oggetto da collezione. Il suo interesse sta nella sua testimonianza storica e anche se non può essere considerato in senso stretto un’opera d’arte, l’imparaticcio ci trasmette sensazioni d’altri tempi e preziosi informazioni dei pensieri della vita delle fanciulle nostre antenate.



La storia dei fazzoletti


Fin dalle epoche più remote, il fazzoletto è stato al centro dell’attenzione d’uomini e donne, sia nelle culture orientali, dove trova la sua origine, che in quelle occidentali. Presso i Persiani, era riservato ai dignitari di grado elevato quale indice di sovranità; in Grecia era indicato con il termine "faxiolion"; presso gli Egiziani, come ricorda Plutarco, la bella Cleopatra inviava all’amato Antonio fazzoletti intrisi di lacrime.
Durante il Medioevo, la Chiesa trasforma i fazzoletti romani in manipoli e purificatoi, per i riti della Santa Messa.
Durante il XV secolo, i corredi annoverano decine di fazzoletti: sessantadue in quello di Lucrezia de’ Medici quando andò in sposa a Bernardo Rucellai, ben centodiciannove in quello di Anna Maria Sforza.
Le buone maniere consigliano di piegarlo in due per esibirlo fra le dita o tenerlo nel palmo della mano, affinché sbuffi il centro e siano in vista i lati ornati di frange e ricami in seta rossa o nera. A Venezia, già nel 1540, il fazzoletto si pone in tasca, è sempre grande, più ricco, di tela finissima, ornato di nappine agli angoli, bordato di “merli” ad ago o fuselli.
Nel 1594, il "Journal de l’Estoil" riferisce che Enrico IV regala cinque fazzoletti "d’ouvrage d’or, d’argent et soie" alla sua favorita Gabrielle d’Estrees, affinché li esibisca durante i ricevimenti a corte.
Soggetto alle leggi suntuarie, mai osservate, il fazzoletto si arricchisce di costosissimi pizzi a punto in aria e a fuselli.
Nel XVII secolo si diffonde l’uso di cifrarli, tanto erano preziosi, per poterli ritrovare in caso di smarrimento.
Nel corso del Settecento, il fazzoletto andrà a nascondersi nei manicotti, nelle tasche, nelle ampie scollature, uscirà, quale sottile arma di seduzione, solo per asciugare le lacrime di qualche svenevole damina.
Gli elenchi dotali ne riportano ancora in numero elevato e tutti adorni di ricami e merletti preziosi: piccoli quelli da nascondere nell’abito, grandi fino a 70 cm quelli da giorno e da notte.
I ricami occupano quasi tutto l’intera superficie del fazzoletto e illustrano paesaggi fantastici, scene di vita campestre, architetture, cineserie. L’abitudine di fiutare il tabacco, anche da parte delle damine incipriate, comporta la diffusione di grandi fazzoletti dai toni scuri. Lo sviluppo delle piantagioni di cotone americane, verso la fine del settecento, portarono alla diffusione di questo genere di fazzoletto.
Fu Luigi XVI, sollecitato dalla moglie Marie Antoniette, a stabilire la forma quadrata, quale unica adatta all’eleganza e alla praticità.
La rivoluzione Francese cancellerà tutte le raffinatezze "ancien regime" ed il fazzoletto dovrà attendere alcuni decenni prima di tornare alla moda.
Nel corso dell’Ottocento, il fazzoletto diverrà imprescindibile da ogni toilette femminile; diverrà simbolo di signorilità e pegno d’amore, rivelatore di capricci, raccoglitore di lacrime, detentore di segreti. Stando ai pettegolezzi dell’epoca, fu Giuseppina Beauharnais, futura imperatrice di Francia, a rilanciare il fazzoletto: lo usa in modo civettuolo per nascondere i denti malsani.
Il fazzoletto Impero misura 55 centimetri per lato e può essere rifinito a picot da un’alta bordura di Valenciennes o Malines o pizzo d’Inghilterra.
Con la Restaurazione il fazzoletto di fine batista propose scene ricamate relegate negli angoli, personalizzato da stemma e cifre.
Già nel 1822, l’uomo porta un fazzoletto bianco ripiegato nella tasca del frac che servirà ad asciugare perle di sudore, ad offrirlo alla signora commossa, a pulire le lenti degli occhiali.
Per le signore, già nel 1835 il “Corriere delle dame” riporta le novità che suggeriscono fazzoletti ricamati a “trapunto”, alquanto ricchi fino a non rivelarne il fondo, ormai il fazzoletto è tornato ad essere sinonimo di eleganza tanto da essere ricordato puntualmente dai giornali di moda che ne rivelano le diversità di stagione in stagione. Sono fazzoletti tanto costosi per la grande profusione di ricami floreali che propongono elaborate lavorazioni quasi da capogiri.
Dalla fine degli anni Trenta, gli angoli iniziano ad essere stondati, una moda questa che resterà fino agli anni sessanta dell’Ottocento. Il fazzoletto è prescritto per ogni abito da indossare durante il corso della giornata. Piccoli e rigorosamente bianchi, ricchi di ricami e merletti quelli matrimoniali: cupidi sfreccianti, fedi intrecciate offerte da immacolate colombe. Sempre di fine battista, con salici piangenti, rose, viole del pensiero, campanule, gigli, cornucopie, blasoni coronati, cifre e monogrammi sono quelli esibiti nelle cerimonie, durante le visite, per le passeggiate, per il teatro, pranzi e balli, tenuti in mano con civetteria dalle dame.
Curiosità: si offrono all’innamorato i fazzoletti ricamati con i capelli dell’amata!
Dal 1870 in poi, quest’accessorio come strumento di seduzione deve lottare con il ventaglio, i guanti, gli occhiali, il bouquet, l’ombrellino, le borsette dove ben presto sarà nascosto.
Pur restando la distinzione fra quelli da giorno e quelli da gala, il fazzoletto semplifica la sua ornamentazione, non viene dimenticato, infatti, tutti i giornali di moda e quelli dei lavori femminili li riportano con una certa frequenza fino allo scoppio della prima guerra mondiale.