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domenica 24 aprile 2011

Cristo è veramente Risorto, Alleluja!

Il Signore Risorto entra attraverso le porte chiuse del nostro cuore,

ci porta la sua pace e getta un Ponte tra il cielo e la terra.

Egli discende su questo ponte fino a noi perchè noi possiamo salire fino a lui.

Buona Pasqua in Gesù Risorto!

venerdì 15 aprile 2011

Sull'amicizia e altro...

E se un giorno fossimo persi, con una folla di preoccupazioni e incombenze in mente e una folla reale di gente sconosciuta intorno a noi che va di fretta con negli occhi le stesse ansie e pensieri e, improvvisamente, ci sentissimo schiacciati e soli? E se fra lo scorrere di volti ignoti vedessimo dei lineamenti amati, che riconoscendoci si illuminano, non ritroveremmo forse noi stessi, il nostro sorriso e il senso del nostro stare a questo mondo? O così potrebbe sembrarci, anche solo per un attimo. Ma quell’attimo dice molto, più di molte altre e più razionali definizioni di noi. Essere riconosciuti e amati da un altro al di fuori di noi che ci restituisce col suo sguardo i confini del nostro io, che sia questo un amico o un amore non è forse fra le cose che ci riconfermano che vale la pena di essere vissuto questo nostro viaggio nel tempo del mondo?

Questa sensazione, questo sentimento, questa certezza, questo desiderio trovano spesso un posto nelle opere di numerosi artisti di tutti i tempi. Gli artisti pensano, provano, esprimono meglio di noi quello che anche noi sentiamo e ce ne fanno ritrovare coscienza. E l’amicizia, quella vera, oppure anche solo i momenti veri delle amicizie normali fanno i nostri giorni più degni di essere vissuti. Come quel momento di concessione al sogno sorridente ed estatico che esprime Dante in quella specie di invocazione agli amici…”Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento…”. Vorrebbe, il serio autore della Divina Commedia, passare del tempo a chiacchierare, a godersi gli amici senza essere disturbato e a parlare dell’argomento migliore di cui parlare: l’amore, con belle ragazze, magari… Non è una meraviglia? Un desiderio così condivisibile che ci rende Dante più vicino e meno arcigno, perché è come noi.

E Renzo, nei Promessi Sposi? Incontra il suo amico, ad un certo punto, ed entrambi hanno visto cose “da levarvi l’allegria per tutta la vita; ma però, a parlarne tra amici, è un sollievo”. Già, cosa si può davvero fare per un amico, nel momento del dolore, se non stare lì con lui, che risposta può esserci a quei dolori non eliminabili se non uno sguardo che accoglie e un amore che condivide? Il dolore non va via, ma non si è soli, un po’ come Cristo ha fatto con noi. Già, la divina amicizia, che ha scelto di non intervenire con un gesto eclatante dall’alto, ma dal fianco dell’uomo, subendo gli stessi condizionamenti del potere e le stesse croci di delusione e tradimento.

Questa disposizione umana all’amicizia è come un sigillo posto “ab initio”, abbiamo bisogno di un “tu”, nella sofferenza come nella gioia. E allora l’affezione profonda, quella rispettosa dell’altro, dei suoi tempi e dei suoi modi dà gusto alle cose, “il grano, che è dorato, mi farà pensare a te – dice la volpe al piccolo principe di Saint Exupèry – e amerò il rumore del vento nel grano”. Il colore di un vestito ti fa pensare all’amica perché è il suo colore preferito, quella canzone dà un’altra commozione perché la suonava quell’altra amica. La realtà stessa, allora, acquista la profondità che solo l’amore le dà.

Intanto però il tempo scorre e spesso vela il nostro sguardo e la nostra fiducia; dice Guccini in “Canzone per Piero” “tu sai quello che il tempo ci ha preso e ci ha dato: io appena giovane sono invecchiato tu forse giovane non sei stato mai. Ma d’illusioni non ne abbiamo avute o forse sì, ma nemmeno ricordo, tutte parole che si son perdute con la realtà incontrata ogni giorno”. Ad un certo punto della vita sembra che i nostri compiti, le cose da fare, i figli da crescere ci distolgano dalle facce degli amici: come fossimo sfere che rotolano senza toccarsi eppure sfiorandosi, circoliamo intorno alle nostre cose e il tempo per chiacchierare e guardare il fondo delle nostre anime non c’è. E se ci si incontra si parla di niente, “Tutto cospira a tacere di noi – dice il poeta Reiner-Maria Rilke – un po’ come si tace un’onta, un po’ come si tace una speranza ineffabile” e le domande “chi sei”, “chi sono” e “che stai facendo della tua vita”, “cosa desideri veramente” rimangono in gola o in un recesso della mente, oppure si ha paura di formularle. Eppure non c’è possibilità di verità e bellezza per ognuno di noi se non lasciamo che un altro ci ridesti, se non lasciamo la porta aperta all’improvviso sopravvenire di qualcosa, qualcuno che tocchi il nostro cuore e ci riconduca al nostro desiderio di felicità, quel desiderio bambino, ribelle, eppure profondamente saggio, la parte più vera di noi, che non può essere nascosta per sempre…o forse sì e, se così fosse, saremmo come un pianeta spento, dal nucleo morto, roccia fredda che non spera niente.

Lo sguardo di qualcuno che ci vuole bene può riportarci a noi stessi, qualcuno che voglia il bene per noi – “non c’è amore più grande di colui che sacrifica la vita per i suoi amici” – un amico.

domenica 3 aprile 2011

"Fratelli d'Italia"


Mameli, eroe si, autore no!

Quando si ascolta l’inno nazionale italiano, almeno per chi italiano è, batte forte il cuore e un brivido su tutta la pelle del corpo si avverte per le emozioni che suscita, scaturite, forse dalle situazioni che in quel momento si stanno vivendo (ad esempio: la premiazione di un atleta, il giuramento di fedeltà alla patria da parte dei nostri militari). L’inno di una nazione è come il suo vessillo, il suo emblema, la sua carta d’identità. L’inno nazionale suscita spirito di abnegazione per la propria patria, di appartenenza al proprio popolo, ma soprattutto incita fratellanza. Ma chi è l’autore dell’inno nazionale italiano? Sicuramente per la maggior parte degli italiani la risposta sarebbe scontata e direbbero senz’altro che l’opera è di Goffredo Mameli, poeta e patriota nato a Genova nel 1827 e morto da eroe a Roma nel 1849, dopo un’agonia di diciotto giorni dovuta all’amputazione di una gamba andata in cancrena. Tanto è frequente definire come inno nazionale italiano “l’inno di Mameli”. Ma è proprio lui il padre dell’inno nazionale italiano? Ottavio Rossani nel suo articolo “Ma che Mameli, Fratelli d’Italia è l’inno di Canata” uscito il 24/12/2002 sul “Corriere della sera” sostiene che “l’inno di Mameli non è di Mameli, ma di un padre scolopio. Il giovane Goffredo ricopiò in bella […]un testo scritto nel 1846 da padre Atanasio Canata e lo inviò nel novembre 1847 all’amico Michele Novaro che lo mise in musica”. Ad avvalorare la sua tesi, scrive nel suo articolo di uno storico, Aldo Mola, che afferma : “lo scrittore non può aver scritto Fratelli d’Italia, il testo è troppo complesso, elaborato e pieno di riferimenti storici”. Sicuramente un giovane come Mameli non poteva avere tutte quelle conoscenze che probabilmente aveva Canata. Nello stesso articolo Ottavio Rossani scrive: “ c’è la testimonianza di padre Ameri. Lo stesso Mameli invia una lettera all’avvocato Giuseppe Canale, in cui mostra di padroneggiare poco la grammatica e la sintassi”. Quindi non era “farina del suo sacco”. Se Mameli fosse stato un nostro contemporaneo sicuramente avrebbe avuto richieste di risarcimento da parte di padre Canata, per aver violato i diritti d’autore e con buona probabilità avrebbe ricevuto un “ tapiro d’oro” da parte di quelli di “Striscia la notizia”. Ma “ padre Canata non protestò, per non sbugiardare l’eroe” afferma Rossano. Per quanto riguarda il componimento musicale è grazie a Michele Novaro che “Fratelli d’Italia” (inizialmente conosciuto come “ Canto degli Italiani”) è quell’inno così coinvolgente che tutti gli italiani amano e apprezzano. Ma molti si chiederanno: chi è costui? Nell’articolo “L’inno nazionale è soprattutto di Novaro, non soltanto di Mameli” l’autore afferma: “ colui che della musica dell’inno fu l’autore, Michele Novaro: chi sia egli, è vergognosamente trascurato anche dalle più piccole enciclopedie […] le quali ne omettono addirittura la voce “ Novaro Michele”. Quindi un perfetto sconosciuto per la maggior parte della gente, finito nel dimenticatoio e nell’ indifferenza. Una vera ingiustizia per chi dovrebbe avere gli onori e il merito di riuscire a mandare il “cuore in gola” agli italiani. Il merito di Mameli, quindi è solo quello di aver favorito la divulgazione dell’inno, grazie soprattutto alla sua fama di eroe del risorgimento, non certo per la sua onestà. Sarebbe però triste e umiliante pensare che la storia dell’inno d’Italia sia fondata sull’ omissione, sulla menzogna o peggio ancora sul furto. A questo punto, si potrebbe dire che il fine giustifica i mezzi, che Mameli, padre Canata e Novaro abbiano contribuito, ognuno a modo loro, a regalarci “L’Inno d’Italia” di cui gli italiani sono fieri ed orgogliosi.