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lunedì 31 ottobre 2011

La storia del cioccolato

L'idea di questo post è nata da alcune discussioni fatte  in un piovoso pomeriggio di ottobre fra me e mio fratello, col quale  condivido una comune passione: il cioccolato. Come si sa la passione spesso induce a soddisfare le proprie voglie, così abbiamo immaginato un luogo dove vivere e saziarci di questo, insieme ai nostri amici con la medesima passione. Questo vuole essere lo spirito che anima la mia ricerca per conoscere dove nasce e come si evolve una meraviglia della natura, un tesoro del gusto nel percorso dei tempi, e come ha cambiato il palato di piccoli e grandi.
Furono i Maya i primi a scoprire la bontà dei semi di cacao (cacaoyer) 600 anni prima di Cristo. Questa popolazione preparava una bevanda mescolando la polvere dei semi tostati di cacao, acqua e spezie. Le leggende sostengono che il seme della pianta del cacao era stato portato dal paradiso e che la saggezza e la potenza venivano dal consumo del frutto dell'albero del cacao.

Oltre ad essere un alimento, il cacao era per i Maya anche una moneta e con gli Aztechi, il cui sistema monetario era proprio basato sulle fave di questa pianta, entrò definitivamente nella storia. Molti indigeni erano spensierati e preferivano bere il cacao piuttosto che arricchirsi. Hernandez (1572) riporta che gli indigeni avevano una vita allegra, non si preoccupavano dell'avvenire e godevano dei beni temporali della natura utilizzando i semi del cacao al posto della moneta. Un esploratore del Centro America scoprì che con 4 semi di cacao si poteva comperare un zucca, con 10 un coniglio, con 12 una notte con una concubina, e con 100 uno schiavo.
Gli Aztechi associavano il cioccolato a Xochiquetzal, la dea della fertilità. Nelle Americhe il cioccolato, dopo essere stato tostato, macinato, mescolato con un liquido e sbattuto fino a diventare spumoso, il cacao veniva servito come xocolatl, spesso aromatizzata con vaniglia, peperoncino e pepe. Questa bevanda dall'aspetto schiumoso, amara e scarsamente gustosa somigliava molto poco al cacao dolce e gradevole che apprezziamo tutti, tuttavia gli Aztechi consumavano il xocolatl per eliminare la fatica, stimolare le forze fisiche e mentali, e consentire, così, la trascendenza. Altri modi di preparazione combinavano il cioccolato con la farina di mais ed il miele.
La leggenda narra che, molti secoli or sono, una principessa, lasciata a guardia delle ricchezze dello sposo, un grande guerriero partito a difendere i confini dell'impero, venne assalita dai nemici che, invano, tentarono di costringerla a rivelare l'ubicazione del tesoro. Per vendetta venne uccisa e, dal sangue versato dalla fedele sposa, nacque la pianta del cacao, il cui frutto nasconde un tesoro di semi, “...amari come le sofferenze dell'amore, forti come la virtù, lievemente arrossati come il sangue”.
Con questi frutti, il marito Topiltzin Quetzalcoàtl (“Serpente Piumato”) volle riconoscere ed esaltare la fedeltà pagata con la morte, dell'amatissima moglie. La stessa fedeltà che, nell'immenso impero azteco, legava i sudditi all'imperatore.
Il vedovo Quetzalcoatl, ammalato e sofferente per la terribile perdita,un giorno bevve una pozione magica offertagli da uno stregone che invece di guarirlo lo portò a smarrire completamente il senno.
Si narra che il povero re fuggì verso il mare, dove trovò una zattera di serpenti aggrovigliati e si allontanò scomparendo misteriosamente.
Ma prima di abbandonare quel mondo, Quetzalcoàtl promise che avrebbe fatto ritorno per riprendersi il suo regno, nell'anno posto sotto il segno del Ce-acatl.
Il seme dell'albero di cacao fu chiamato, in suo onore, dapprima cacahualt e poi chocolatl.
 Secoli più tardi, nel 1519, anno sotto il segno del "Ce-acatl", una grande nave carica di uomini con scintillanti armature come scaglie di serpente ed elmetti piumati, fece la sua comparsa vicino alla costa orientale del regno azteco.
Immediatamente l'imperatore Montezuma credette alla profezia ed accolse pacificamente quella nave pronto a restituire il regno al Dio Quetzalcoàtl.
Sul battello però non vi era il Dio azteco ma un conquistatore spagnolo: Hernàn Cortès.
Vennero offerti molti doni quali oro, argento, pietre preziose, schiave e... cesti pieni di semi di cacao.
Cortès scriveva a Carlo V: "una tazza di questa preziosa bevanda consente ad un uomo di sopportare un'intera giornata di marcia senza prendere altri cibi". Cristoforo Colombo portò con sè alcuni semi di cacao da mostrare a Ferdinando ed Isabella di Spagna, ma fu Hernando de Soto ad introdurre il cacao in Europa più diffusamente.
Alcuni frati spagnoli, grandi esperti di miscele e infusi, sostituirono gli ingredienti originari (achiote, fior di spigo, sapodilla, mais, miele, chili e pepe garofanato) con lo zucchero di canna e la vaniglia, creando una bevanda dolce e gustosa. A loro va anche il merito di aver subito capito l'alto potere nutrizionale del cioccolato, tanto da utilizzarlo come sostegno alimentare durante i lunghi periodi di digiuno.
In Italia, e precisamente in Toscana si cominciarono ad aggiungere alcuni particolari ingredienti: le scorze fresche di cedrata e limoncello, aromi di gelsomino, cannella, vaniglia, ambra e muschio. Diluito con il latte, e non più con l'acqua, la bevanda al cioccolato prese il nome di “cioccolatte”.
I Gesuiti diedero il via libera all'uso della cioccolata in Chiesa, e contribuirono al commercio tra l'America latina e l'Europa dove il "cioccolatte" si diffuse velocemente: alla bevanda, infatti, venivano attribuite doti taumaturgiche, medicinali e persino afrodisiache. I Dominicani, appartenenti ad una tradizione religiosa più severa e rivaleggiante con quella della Compagnia di Gesù, si opposero alla diffusione della cioccolata adducendo, come pretesto, il fatto che essa potesse riscaldare eccessivamente il sangue.
A Londra le bevande al cacao venivano vendute in locali pubblici specializzati: i “chocolate-drinking houses”
Al 1671 risalirebbe, invece, l'invenzione del primo cioccolatino: un aiutante di cucina, versando per sbaglio dello zucchero caldo su alcune mandorle, avrebbe creato involontariamente un nuovo alimento, tanto gustoso che il Duca di Plesslin-Praslin, una volta assaggiatolo, avrebbe poi deciso di chiamarlo con il suo nome. E fu così che nacquero le "praline".
Verso la fine del XVII secolo, a Torino si sarebbero addirittura prodotte 750 libbre di cioccolato al giorno, cioè 350 kg, che in parte venivano esportate.
Soltanto nel 1755 gli Stati Uniti d'America si ricordarono del cacao e divennero, dopo qualche decina di anni, il paese prevalente nella sua produzione. Nel 1780 venne prodotto, a Barcellona, il primo cioccolato industriale.
In Olanda, Van Houten inventa una macchina per estrarre il burro di cacao, la bevanda comincia a diventare più fluida e quindi più gradevole.
Alla fine del 1800 lo Svizzero Daniel Peter aggiunge al cioccolato del latte condensato, ottenendo un cioccolato al latte di consistenza solida. Sempre alla fine del 1800, un altro svizzero, Rudolph Lindt, sviluppa un metodo nuovo ed originale per raffinare il cioccolato, il risultato è un prodotto finito estremamente fine: è il cioccolato fondente.
Nel 1946 Pietro Ferrero inventò una crema di cioccolato e nocciole che chiamò Pasta Gianduja con l'intenzione di venderne qualche chilo ai pasticcieri di Alba: il prodotto ebbe un successo superiore a ogni aspettativa e qualche anno dopo, nel 1964, ne nacque la Nutella, che divenne popolare in tutto il mondo.
Si racconta che Napoleone dopo un'estenuante giornata bevesse una gran tazza di cioccolata calda per ritemprarsi nell'anima e nel corpo.
Il marchese De Sade riteneva che il cioccolato fosse afrodisiaco mentre Gabriele d'Annunzio mangiava quadretti di fondente prima di incontrare le sue amanti. L'effetto afrodisiaco sarebbe dovuto alla presenza nel cacao di feniletilamina, la sostanza che ha effetti euforizzanti (analogo a quello delle anfetamine) e viene prodotta dall'organismo quando scatta il colpo di fulmine! Nel cacao, quindi, sono presenti importanti sostanze psicoattive come le teobromine e la caffeina, eccitanti e stimolanti il respiro, l'attività cardiaca ma soprattutto la funzione muscolare. Tutte le moderne ricerche hanno dimostrato che il cioccolato, in giuste dosi, non solo non è pericoloso, ma può anche apportare parecchi benefici all'organismo fa bene persino ai denti.

giovedì 20 ottobre 2011

La sofferenza

Anche la sofferenza fa parte del grandioso e misterioso dono di Dio. Non possiamo sottrarci al suo inesorabile volere. Solo imparando ad accettarla si cresce.
Grandi pensatori dicono che si rimane bambini perchè non si riesce ad affrontare le difficoltà, ma le si evitano. Penso abbiano ragione. Girare intorno al problema non fa che aumentare quel senso di frustrazione che cresce in noi quando siamo privati di qualcosa. Costruirsi attorno un piccolo Paradiso materiale, esente da qualsiasi ombra: più si fa finta che la sofferenza e il dolore non esistano, più essi si sedimentano in zone più oscure della nostra anima.
Affrontare la sofferenza, attraversarla e scoprire i frutti positivi è molto difficile, specie in una società orientata alla sua cancellazione e dedita all'esaltazione del divertimento. Così viene spinta in recessioni sempre più profondi, sempre più nascosti agli altri. Mostrare la sofferenza, al giorno d'oggi, è il vero tabù.
Si nasconde come se fosse una colpa. E la colpa diventa vergogna. Essere sofferenti e mostrare una debolezza agli altri.
Propio quando diventa insostenibile arrivano quei momenti che chiamiamo 'crisi' (in greco vuol dire 'scelta'), passaggi assai dolorosi, nei quali però, chissà come, fioriscono le cose più belle della vita.
All'interno della sofferenza di ogni singolo uomo, viene naturale porsi una domanda: 'Perchè?'
L'uomo soffre sapendo di soffrire, è ne chiede il perchè; soffre in modo ancor più profondo se non trova una risposta soddisfacente, sia quando lo pone all'uomo, sia quando lo pone a Dio.
E' difficile.
L'uomo non pone questo interrogativo al mondo, perchè sa che la maggior parte della sofferenza è causata da esso, ma lo pone a Dio come Creatore. L'esistenza del mondo, con la sua quotidiana drammaticità, apre lo sguardo dell'anima 'umana' all'esistenza di Dio.
L'uomo rivolge a Dio la domanda. E Dio aspetta la domanda...

lunedì 10 ottobre 2011

Il discorso di Steve Jobs alla Stanford University

Sono onorato di essere qui con voi oggi, nel giorno della vostra
laurea presso una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai
laureato. A dir la verità, questa è l’occasione in cui mi sono di più
avvicinato ad un conferimento di titolo accademico. Oggi voglio raccontarvi tre
episodi della mia vita. Tutto qui, nulla di speciale. Solo tre storie.

La prima storia parla di “unire i puntini”.
Ho abbandonato gli studi al Reed College dopo sei mesi, ma vi
sono rimasto come imbucato per altri diciotto mesi, prima di lasciarlo
definitivamente. Allora perchè ho smesso?

Tutto è cominciato prima che io nascessi. La mia madre biologica
era laureanda ma ragazza-madre, decise perciò di darmi in adozione. Desiderava
ardentemente che io fossi adottato da laureati, così tutto fu approntato
affinché ciò avvenisse alla mia nascita da parte di un avvocato e di sua
moglie. All’ultimo minuto, appena nato, questi ultimi decisero che avrebbero
preferito una femminuccia. Così quelli che poi sarebbero diventati i miei
“veri” genitori, che allora si trovavano in una lista d’attesa per l’adozione,
furono chiamati nel bel mezzo della notte e venne chiesto loro: “Abbiamo un
bimbo, un maschietto, ‘non previsto’; volete adottarlo?”. Risposero:
“Certamente”. La mia madre biologica venne a sapere successivamente che mia
mamma non aveva mai ottenuto la laurea e che mio padre non si era mai
diplomato: per questo si rifiutò di firmare i documenti definitivi per
l’adozione. Tornò sulla sua decisione solo qualche mese dopo, quando i miei
genitori adottivi le promisero che un giorno sarei andato all’università.

Infine, diciassette anni dopo ci andai. Ingenuamente scelsi
un’università che era costosa quanto Stanford, così tutti i risparmi dei miei
genitori sarebbero stati spesi per la mia istruzione accademica. Dopo sei mesi,
non riuscivo a comprenderne il valore: non avevo idea di cosa avrei fatto nella
mia vita e non avevo idea di come l’università mi avrebbe aiutato a scoprirlo.
Inoltre, come ho detto, stavo spendendo i soldi che i miei genitori avevano
risparmiato per tutta la vita, così decisi di abbandonare, avendo fiducia che
tutto sarebbe andato bene lo stesso. OK, ero piuttosto terrorizzato all’epoca,
ma guardandomi indietro credo sia stata una delle migliori decisioni che abbia
mai preso. Nell’istante in cui abbandonai potei smettere di assistere alle
lezioni obbligatorie e cominciai a seguire quelle che mi sembravano
interessanti.

Non era tutto così romantico al tempo. Non avevo una stanza nel
dormitorio, perciò dormivo sul pavimento delle camere dei miei amici; portavo
indietro i vuoti delle bottiglie di coca-cola per raccogliere quei cinque cent
di deposito che mi avrebbero permesso di comprarmi da mangiare; ogni domenica
camminavo per sette miglia attraverso la città per avere l’unico pasto decente
nella settimana presso il tempio Hare Krishna. Ma mi piaceva. Gran parte delle
cose che trovai sulla mia strada per caso o grazie all’intuizione in quel
periodo si sono rivelate inestimabili più avanti. Lasciate che vi faccia un
esempio:

il Reed College a quel tempo offriva probabilmente i migliori
corsi di calligrafia del paese. Nel campus ogni poster, ogni etichetta su ogni
cassetto, erano scritti in splendida calligrafia. Siccome avevo abbandonato i
miei studi ‘ufficiali’e pertanto non dovevo seguire le classi da piano studi,
decisi di seguire un corso di calligrafia per imparare come riprodurre quanto
di bello visto là attorno. Ho imparato dei caratteri serif e sans serif, a come
variare la spaziatura tra differenti combinazioni di lettere, e che cosa rende
la migliore tipografia così grande. Era bellissimo, antico e così
artisticamente delicato che la scienza non avrebbe potuto ‘catturarlo’, e
trovavo ciò affascinante.

Nulla di tutto questo sembrava avere speranza di applicazione
pratica nella mia vita, ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo
computer Machintosh, mi tornò utile. Progettammo così il Mac: era il primo
computer dalla bella tipografia. Se non avessi abbandonato gli studi, il Mac
non avrebbe avuto multipli caratteri e font spazialmente proporzionate. E se
Windows non avesse copiato il Mac, nessun personal computer ora le avrebbe. Se
non avessi abbandonato, se non fossi incappato in quel corso di calligrafia, i
computer oggi non avrebbero quella splendida tipografia che ora possiedono.
Certamente non era possibile all’epoca ‘unire i puntini’e avere un quadro di
cosa sarebbe successo, ma tutto diventò molto chiaro guardandosi alle spalle
dieci anni dopo.

Vi ripeto, non potete sperare di unire i puntini guardando
avanti, potete farlo solo guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia
che, nel futuro, i puntini che ora vi paiono senza senso possano in qualche modo
unirsi nel futuro. Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro
karma, la vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete... questo
approccio non mi ha mai lasciato a terra, e ha fatto la differenza nella mia
vita.

La mia seconda storia parla di amore e di perdita.

Fui molto fortunato - ho trovato cosa mi piacesse fare nella
vita piuttosto in fretta. Io e Woz fondammo la Apple nel garage dei miei
genitori quando avevo appena vent’anni. Abbiamo lavorato duro, e in dieci anni
Apple è cresciuta da noi due soli in un garage sino ad una compagnia da due
miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. Avevamo appena rilasciato
la nostra migliore creazione - il Macintosh - un anno prima, e avevo appena
compiuto trent’anni... quando venni licenziato. Come può una persona essere
licenziata da una Società che ha fondato? Beh, quando Apple si sviluppò
assumemmo una persona - che pensavamo fosse di grande talento - per dirigere la
compagnia con me, e per il primo anno le cose andarono bene. In seguito però le
nostre visioni sul futuro cominciarono a divergere finché non ci scontrammo.
Quando successe, il nostro Consiglio di Amministrazione si schierò con lui.
Così a trent’anni ero a spasso. E in maniera plateale. Ciò che aveva
focalizzato la mia intera vita adulta non c’era più, e tutto questo fu
devastante.

Non avevo la benché minima idea di cosa avrei fatto, per qualche
mese. Sentivo di aver tradito la precedente generazione di imprenditori, che
avevo lasciato cadere il testimone che mi era stato passato. Mi incontrai con
David Packard e Bob Noyce e provai a scusarmi per aver mandato all’aria tutto
così malamente: era stato un vero fallimento pubblico, e arrivai addirittura a
pensare di andarmene dalla Silicon Valley. Ma qualcosa cominciò a farsi strada
dentro me: amavo ancora quello che avevo fatto, e ciò che era successo alla
Apple non aveva cambiato questo di un nulla. Ero stato rifiutato, ma ero ancora
innamorato. Così decisi di ricominciare.

Non potevo accorgermene allora, ma venne fuori che essere
licenziato dalla Apple era la cosa migliore che mi sarebbe potuta capitare. La
pesantezza del successo fu sostituita dalla soavità di essere di nuovo un
iniziatore, mi rese libero di entrare in uno dei periodi più creativi della mia
vita.

Nei cinque anni successivi fondai una Società chiamata NeXT,
un’altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una splendida ragazza che sarebbe
diventata mia moglie. La Pixar produsse il primo film di animazione interamente
creato al computer, Toy Story, ed è ora lo studio di animazione di maggior
successo nel mondo. In una mirabile successione di accadimenti, Apple comprò
NeXT, ritornai in Apple e la tecnologia che sviluppammo alla NeXT è nel cuore
dell’attuale rinascimento di Apple. E io e Laurene abbiamo una splendida
famiglia insieme.

Sono abbastanza sicuro che niente di tutto questo mi sarebbe
accaduto se non fossi stato licenziato dalla Apple. Fu una medicina con un
saporaccio, ma presumo che ‘il paziente’ne avesse bisogno. Ogni tanto la vita
vi colpisce sulla testa con un mattone. Non perdete la fiducia, però. Sono
convinto che l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti sia stato l’amore
per ciò che facevo. Dovete trovare le vostre passioni, e questo è vero tanto
per il/la vostro/a findanzato/a che per il vostro lavoro. Il vostro lavoro
occuperà una parte rilevante delle vostre vite, e l’unico modo per esserne
davvero soddisfatti sarà fare un gran bel lavoro. E l’unico modo di fare un
gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa
per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di
cuore, saprete di averlo trovato non appena ce l’avrete davanti. E, come le
grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi
continuate a cercare finché non lo trovate. Non accontentatevi.

La mia terza storia parla della morte.

Quando avevo diciassette anni, ho letto una citazione che
recitava: “Se vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, uno di questi c’avrai
azzeccato”. Mi fece una gran impressione, e da quel momento, per i successivi
trentatrè anni, mi sono guardato allo specchio ogni giorno e mi sono chiesto:
“Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per
fare oggi?”. E ogni volta che la risposta era “No” per troppi giorni
consecutivi, sapevo di dover cambiare qualcosa.

Ricordare che sarei morto presto è stato lo strumento più utile
che abbia mai trovato per aiutarmi nel fare le scelte importanti nella vita.
Perché quasi tutto - tutte le aspettative esteriori, l’orgoglio, la paura e
l’imbarazzo per il fallimento - sono cose che scivolano via di fronte alla
morte, lasciando solamente ciò che è davvero importante. Ricordarvi che state
per morire è il miglior modo per evitare la trappola rappresentata dalla
convinzione che abbiate qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione
perché non seguiate il vostro cuore.

Un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Effettuai una
scansione alle sette e trenta del mattino, e mostrava chiaramente un tumore nel
mio pancreas. Fino ad allora non sapevo nemmeno cosa fosse un pancreas. I
dottori mi dissero che con ogni probabilità era un tipo di cancro incurabile, e
avevo un’aspettativa di vita non superiore ai tre-sei mesi. Il mio dottore mi
consigliò di tornare a casa ‘a sistemare i miei affari’, che è un modo per i
medici di dirti di prepararti a morire. Significa che devi cercare di dire ai
tuoi figli tutto quello che avresti potuto nei successivi dieci anni in pochi
mesi. Significa che devi fare in modo che tutto sia a posto, così da rendere la
cosa più semplice per la tua famiglia. Significa che devi pronunciare i tuoi
‘addio’.

Ho vissuto con quella spada di Damocle per tutto il giorno. In
seguito quella sera ho fatto una biopsia, dove mi infilarono una sonda nella
gola, attraverso il mio stomaco fin dentro l’intestino, inserirono una sonda
nel pancreas e prelevarono alcune cellule del tumore. Ero in anestesia totale,
ma mia moglie, che era lì, mi disse che quando videro le cellule al
microscopio, i dottori cominciarono a gridare perché venne fuori che si
trattava una forma molto rara di cancro curabile attraverso la chirurgia. Così
mi sono operato e ora sto bene.

Questa è stata la volta in cui mi sono trovato più vicino alla
morte, e spero lo sia per molti decenni ancora. Essendoci passato, posso dirvi
ora qualcosa con maggiore certezza rispetto a quando la morte per me era solo
un puro concetto intellettuale:

Nessuno vuole morire. Anche le persone che desiderano andare in
paradiso non vogliono morire per andarci. E nonostante tutto la morte
rappresenta l’unica destinazione che noi tutti condividiamo, nessuno è mai
sfuggito ad essa. Questo perché è come dovrebbe essere: la Morte è la migliore
invenzione della Vita. E’ l’agente di cambio della Vita: fa piazza pulita del
vecchio per aprire la strada al nuovo. Ora come ora ‘il nuovo’ siete voi, ma un
giorno non troppo lontano da oggi, gradualmente diventerete ‘il vecchio’e
sarete messi da parte. Mi dispiace essere così drammatico, ma è pressappoco la
verità.

Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la
vita di qualcun’altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a
vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle
opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante,
abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi
guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare.
Tutto il resto è secondario.

Quando ero giovane, c’era una pubblicazione splendida che si
chiamava The whole Earth catalog, che è stata una delle bibbie della mia
generazione. Fu creata da Steward Brand, non molto distante da qui, a Menlo
Park, e costui apportò ad essa il suo senso poetico della vita. Era la fine
degli anni Sessanta, prima dei personal computer, ed era fatto tutto con le
macchine da scrivere, le forbici e le fotocamere polaroid: era una specie di
Google formato volume, trentacinque anni prima che Google venisse fuori. Era
idealista, e pieno di concetti chiari e nozioni speciali.

Steward e il suo team pubblicarono diversi numeri di The whole
Earth catalog, e quando concluse il suo tempo, fecero uscire il numero finale.
Era la metà degli anni Settanta e io avevo pressappoco la vostra età. Nella
quarta di copertina del numero finale c’era una fotografia di una strada di
campagna nel primo mattino, del tipo che potete trovare facendo autostop se
siete dei tipi così avventurosi. Sotto, le seguenti parole: “Siate affamati.
Siate folli”. Era il loro addio, e ho sperato sempre questo per me. Ora, nel
giorno della vostra laurea, pronti nel cominciare una nuova avventura, auguro
questo a voi.
Siate affamati. Siate folli.
Omaggio ad un personaggio che ha contribuito
all'innovazione mondiale dell'informatica e della tecnologia.
Lui ha cambiato il mondo,
non possiamo sottrarci ha questa realtà.
Lui non era la classica pecora, lui non seguiva il gregge,
ma, era quella che percorreva il pascolo per conto suo.
Diceva:
"Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore perchè lui sa già quello che volete avere".
Quant'è vero!
Scelse la mela addentata per la sua azienda perchè simbolo di conoscenza.
"Il segreto del mio successo?
Non accontentarsi mai", diceva.
La sua storia è la mia storia.
Non ha mai terminato gli studi, ma con la sua capacità e forza di volontà
ha creato la sua felicità.
E' anche grazie a lui che è nato il mio blog.

giovedì 6 ottobre 2011

Non giudicare mai troppo in fretta

Un uomo aveva quattro figli.
Voleva che imparassero a non giudicare le cose troppo velocemente.
Così li mandò uno alla volta a osservare un albero molto distante da casa...
Il più grande andò in inverno, il secondo in primavera, il terzo in estate, il più giovane in autunno.
Quando tutti furono tornati chiese loro cosa avevano visto.
Il grande disse che l'albero era brutto, spoglio e ricurvo.
Il secondo disse che era pieno di gemme e promesse di vita.
Il terzo non era daccordo. L'albero era pieno di fiori, profumato e bellissimo, era la cosa più bella che avesse mai visto.
Il più piccolo aveva un opinione ancora diversa. L'albero era carico di frutti e pieno di vita, di realizzazione.
L'uomo spiegò ai suoi figli che tutti avevano ragione, infatti avevano osservato solo una stagione della vita dell'albero.
Disse loro di non giudicare un albero o una persona solo in una stagione, che l'essenza di ciò che una persona è, la gioia, l'amore, la realizzazione che viene dalla vita possono essere misurate solo alla fine quando tutte le stagioni sono complete.
Se ti arrendi quando è inverno, perderai la speranza che regala la primavera, la bellezza della tua estate, la realizzazione del tuo autunno.
Morale:
Non lasciare che il dolore di una stagione distrugga la gioia di ciò che verrà dopo.
Non giudicare la tua vita in una stagione difficile.
Persevera nelle difficoltà... il meglio deve ancora venire!!!
Preso da una bacheca su facebook