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domenica 19 giugno 2011

Il male di vivere

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, la nuvola, e il falco alto levato.
E.Montale, Ossi di Seppia, 1925
E' difficile, percorrendo velocemente il fiume della nostra letteratura, trovare un momento più preciso, uniforme nella propia diversità e corale come quello in cui i Poeti italiani del Novecento si sono incontrati sotto una categoria che, attingendo dalla famosa poesia di Montale, è stata definita il "male di vivere".
I poeti non vivono le loro esperienze da soli, anche se così può sembrare, sono espressioni dell'umanità che vive insieme a loro, sentono con più precisione e drammacità a volte, ma spesso con maggiore lucidità, quello che sentiamo noi. Vivono, capiscono, e attraverso la forma artistica esprimono quello che noi uomini ancora non ci accorgiamo di provare e di vivere. Per questo li leggiamo e per questo i più grandi fra loro rimangono fermi nella memoria storica e nel cuore dei singoli con parole che segnano.
Il cavallo "stramazzato" di Montale è forse l'emblema più chiaro di questo dolore cattivo, che giunge ineluttabile come la morte, ma con un di più di crudeltà che è dato dal fatto che nessuno l'ha ucciso, ma la vita stessa, con la stanchezza che si trascina, l'ha privato della sua forza, come la foglia inaridita che cede senza capire perchè ha un destino incomprensibile di annientamento.
Questo potrebbe essere il "male di vivere" che follemente urla il protagonista del dipinto di Munch, simbolo di quando l'uomo smette di cercare di razionalizzare e di accettare, fintamente, che sia normale che il nostro io svanisca nella polvere del tempo come una foglia che contribuisce ad alimentare il ciclo della vita.
Cos'è il dolore quando lo si può ragionevolmente sopportare? Come può essere un bene che la foglia inaridisca, come si può sentire che quello che passa è perduto per sempre?
Il dolore lo si può vivere se c'è un senso, e il male di vivere è solo tristezza buona se c'è la consapevolezza profonda che niente passa mai e che tutto ha un significato preciso. La tristezza che è nostalgia, cede il passo alla certezza piena di speranza se la vita è un cammino verso una meta e non uno scorrere impedito del destino cattivo.
I poeti del Novecento hanno sofferto di questo Destino buono segnato dalla storia e dalla cultura occidentale che ha prodotto menti intelligenti e disperate che ci hanno detto cosa davvero stavamo vivendo senza accorgecene.