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martedì 31 gennaio 2012

Ti amo

"Ti amo perchè hai un’anima chiara, il sorriso negli occhi e la festa nel cuore.
L’amore è un’emozione che nasce da qualcosa di ignoto che entra all’improvviso nella nostra vita.
E’ una felicità che fa sorridere il cuore e ci dà l’illusione di non essere più soli.
E’ un sentimento capace di infonderci gioia, energia, di evocare l’immagine del cielo e della terra.
L’amore è una risorsa alla quale possiamo attingere quando ci sentiamo insicuri, un dono prezioso carico di emozioni che ci fanno apparire la persona amata come un essere superiore, avvolto da una luce particolare.
E’ la voglia di spartire la propria vita, le emozioni, le preoccupazioni con chi sa ascoltarci.
Spesso porta con se anche la sofferenza. Temiamo che la persona, di cui amiamo il cuore, scompaia all’improvviso senza darci la possibilità di renderla felice.
Nelle parole che seguono c’è il senso dei sentimenti, delle impressioni, sensazioni, passioni e desideri. Il vissuto ha radici profonde, ha storie importanti da raccontare, ha sofferenze difficili da dimenticare, ma ha pure tutta la vitalità di un sentimento unico, tutta la felicità di uno spirito libero, la limpidezza di un’anima chiara. Tutto ciò che si ha dentro.
... sento che dentro di me si sta sciogliendo quel nodo che mi opprime ...
 In questa libertà provo invece un incontenibile desiderio di fusione con l’uomo che amo. Vorrei perdermi tra le sue braccia. Da tempo pensavo a questo giorno, a come ci saremmo amati. Ora, finalmente, vicina a lui, provo desiderio, passione, tenerezza. L’uomo che amo sa suscitare in me emozioni profonde. Il suo sguardo, le sue mani, la sua pelle risvegliano in me tante sensazioni. Non riesco a trattenermi dall’accarezzarlo, dal dirgli quanto lo amo e che mai smetterò di amarlo.
… io mi sento in balia dell’amore ... Mentre lo bacio, lo accarezzo dolcemente senza mai smettere, sento il suo piacere fondersi con il mio e comincio a piangere in silenzio tanto sono felice. Avverto momenti di grande dolcezza, mi pare che i nostri cuori si tocchino, quasi li sento battere. Provo una gioia immensa, vorrei restare per sempre con lui, morire insieme con le nostre anime piene di desiderio.
All’inizio ho avuto paura di affrontare l'amore... ora, nulla più si frappone tra me ed il mondo dei desideri. Solo per l’uomo che amo ho superato un importante passaggio della mia vita ed ora un mondo di emozioni si sta impadronendo di me. Questo amore,  mi ha aperto nuove prospettive di vita. Sono felice di aver creduto nella spinta interiore che mi suggeriva di vivere questo amore e di iniziare così un cammino diverso da quello che avevo percorso prima d’allora.”

domenica 29 gennaio 2012

Come le mele

Le donne sono come le mele su un albero: le migliori sono in cima. La maggior parte degli uomini non vogliono arrivare alle migliori perchè hanno paura di cadere e farsi male, così preferiscono prendere quelle che sono cadute a terra e che, pur non essendo così buone, sono facili da raggiungere. A volte le mele che stanno sulla cima dell’albero pensano che ci sia qualcosa che non va in loro, quando in realtà sono semplicemente “meravigliose”, devono solo essere pazienti e aspettare che l’uomo giusto arrivi, colui che sia cosi coraggioso da arrampicarsi fino alla cima dell’albero. Non devono cadere per essere raggiunte: chi avrà bisogno di loro e le ama farà di tutto per raggiungerle… 

lunedì 16 gennaio 2012

Luoghi Manzoniani

Vista del Lago a Lecco
Alessandro Manzoni
Il brano più celebre della letteratura italiana di Alessandro Manzoni 'I Promessi Sposi': "Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti..."(...). Nasce propio dai minuziosi ricordi visivi del paesaggio che dalla villa del Caleotto, sua dimora d'infanzia e delle vacanze estive, si svolge il centro del romanzo.
Con questo delizioso ricordo voglio cominciare la mia avventura fra le stradine di Lecco, solcate da monti e ruscelli che attraversano la città. Una metropoli nuova, niente da invidiare ad altre grandi città che la circondano (Milano, Como, Bergamo...). Il Manzoni ne era profondamente rapito dalla bellezza di questi luoghi. Bellezza che col tempo è mutata dalla tecnologia e dalla ricchezza urbanistica, ma che ha conservato il suo incanto negli occhi dei visitatori. Chi non conosce Lecco non può capire tale trasporto, quello che crea all'immaginazione, rapisce il cuore e gli occhi. Vedendo questo grande paesino accucciato sotto grandi rocce, le montagne che la proteggono e la nascondono, come per conservare la sua bellezza naturale per donare allo straniero una visuale pura e incontaminata dal progresso.
La villa del Caleotto appartenuta alla famiglia Manzoni
Eppure nel 1818 lo scrittore vende la villa del Caleotto e quasi tutte le sue proprietà a Lecco e quì non tornerà mai più.
Ma come ha fatto a staccarsi di tanta grazia agli occhi?
Si sa da sempre che lo scrittore ha bisogno di grandi fonti d'ispirazione per comporre le propie odi, ma pare che Lecco, nel suo cuore ha sempre viaggiato con esso, col suo bagaglio nel cuore.
Gli anni lecchesi di Alessandro Manzoni, i suoi primi venti, costituiscono il periodo della sua vita di cui si conosce di meno: anzi, esclusi pochissimi aneddoti, tutti riferiti da altri e qualche lettera, dei primi anni dello scrittore non è rimasto quasi nulla.
I dati sono talmente labili che si potrebbe perfino dubitare del suo lungo soggiorno a Lecco se non fosse per un tesimone indiscutibile, Manzoni stesso che, nel capitolo iniziale del Fermo e Lucia, la prima stesura del romanzo rimasta a lungo inedita, scrive in proposito:
    "...La giacitura della riviera, i contorni, e le viste lontane, tutto concorre a renderlo
     un paese che chiamerei uno dei più belli del mondo, se avendovi passata gran
     parte dell'infanzia e della puerizia, e le vacanze autunnali della prima giovinezza,
     non riflettessi che è impossibile dare un giudizio spassionato dei paesi a cui sono
     associate le memorie di quegli anni"(...).
L'infanzia, l'adolescenza e le vacanze autunnali, fino ai venti anni, insomma tutto il periodo della vita che ci lega indissolubilmente ad un luogo per sempre, un posto di cui conosciamo ogni cosa, la luce del cielo nelle giornate di vento, il colore del lago d'inverno, i nomi di tutte le montagne:
     "...Cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non
      meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo
      scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul
      pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio"(...).
I promessi sposi
L' "Addio monti sorgenti dalle acque"(...) di Lucia è l'addio di Manzoni ai paesi suoi. Sulla vendita di quella che non era una qualsiasi villa di vacanze ma la casa di famiglia da oltre due secoli sono state fatte le più diverse e contrastanti ipotesi, di natura finanziaria  e persino psicanalitica, ma la verità è più semplice.
Gabbianelle
Piazza del centro, Lecco
Manzoni vende tutte le sue propietà a Lecco per colpa di un'amministratore disonesto. Lascia la casa tanto amata costruita da un trisavolo, il fondatore della potenza del ramo lecchese della famiglia, il primo ad abitare stabilmente al Caleotto, fu Giacomo Maria, che accumulò un ingente patrimonio costituite da fucine, opifici, altiforni per la lavorazione del ferro, diventando il maggiore imprenditore siderurgico del Ducato di Milano. Signorotto potente e prepotente si circondava di Bravi e l'Archivio di Stato di Milano conserva gli atti dei numerosi processi che subì come mandante di numerosi omicidi. Nel 1630 durante la Grande Peste fu accusato di aver indotto dei monatti ad ungere le porte dei suoi concorrenti per propagare la peste. I due monatti furono messi a morte, mentre un'inchiesta del Senato di Milano lo scagionò dalle accuse.
Morì nel 1643, implicato in un ulteriore processo come mandante di un nuovo omicidio. E' probabile che la prima aspirazione dei Promessi Sposi, il romanzo del lontano nipote, derivi propio dalle sue vicende. La produzione siderurgica lecchese era allora, particolarmente importante, anche perchè gli Spagnoli, che governavano il Ducato di Milano, contavano molto sul ferro lecchese per armare i propi eserciti.
Mezzo di trasporto del 1600,
 attribuito all'episodio di Lucia
 che abbandona le terre natie
Nel 1818 il Manzoni delega lo zio, Giulio Beccaria, suo procuratore generale, di vendere tutte le sue propietà a Lecco, la casa in via Morone a Milano, e la villa di Brusuglio, ereditata dalla madre. Cambiamenti repentini e radicali come questo contrassegnano tutta la sua vita e sgorgano all'improvviso, ma si tratta dello sbocco di percorsi interiori. Propio in questi anni egli vive una delle sue più profonde crisi esistenziali, una crisi che, forse, si illude di risolvere tagliando ogni legame col passato e con l'Italia trasferendosi in Francia.
"Quella Francia che" come aveva scritto nel 1810 "non si può abbandonare senza che al ricordo di averla abitata (...) non si mescoli (...) una profonda sensazione d'esilio" (...).
Monumento dedicato ad
Alessandro Manzoni con le scene de
 "I promessi Sposi"
Lecco
E in esilio si sentiva il Manzoni nella Milano del ritorno degli Austriaci, tanto remota e provinciale rispetto all'amata Parigi.
Le trattative su queste ulteriori vendite vanno per le lunghe, Manzoni esce dalla profonda crisi in cui si ritrova, ma, ormai, la vendita della villa del Caleotto è perfezionata e non si può tornare indietro (venduta alla famiglia Scola, che non avendo eredi la donò al Comune di Lecco e ne fece un museo in ricordo dell'illustre compaesano).
Stefano Stampa, il suo figliastro, autore di una documentatissima biografia del patrigno, scrive parlando del finale dei Promessi Sposi: "Egli (Manzoni) sentì fortemente un'invidia mentale verso de' suoi stessi personaggi, se li avvesse fatti vivere felici nel loro delizioso territorio, nel quale egli possedeva quella casa da lui tanto amata. E lì trasportò nel Bergamasco, come Lui da Lecco si era trasportato a Brusuglio".

mercoledì 4 gennaio 2012

La Befana

Un giorno i Re Magi partirono carichi di doni (oro, incenso e mirra) per andare da Gesù. Attraversarono molti paesi guidati da una stella, e in ogni luogo in cui passavano, gli abitanti accorrevano per conoscerli e unirsi a loro.
La leggenda narra che ci fu solamente una vecchia signora che si rifiutò di seguirli nella fredda notte.
Il giorno dopo, pentita, preparò un cesto di doni per il Bambin Gesù e cercò di raggiungere i Re Magi, che però erano già troppo lontani. Per questo la vecchina non vide Gesù Bambino, nè quella volta nè mai.
Da allora ella, nella notte fra il 5 e il 6 gennaio, volando su una scopa con un sacco sulle spalle, passa per le case a portare ai bambini buoni i doni che non ha dato a Gesù. Calandosi dai camini riempie le calze lasciate appese dai bambini. Questi da parte loro, preparano per la buona vecchia, in un piatto, un mandarino o un'arancia e un bicchiere di vino. Il mattino successivo insieme ai regali -caramelle, dolcetti, noci, mandarini e carbone per le marachelle dell'anno- troveranno il pasto consumato e l'impronta della mano della Befana sulla cenere sparsa nel piatto.