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lunedì 16 gennaio 2012

Luoghi Manzoniani

Vista del Lago a Lecco
Alessandro Manzoni
Il brano più celebre della letteratura italiana di Alessandro Manzoni 'I Promessi Sposi': "Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti..."(...). Nasce propio dai minuziosi ricordi visivi del paesaggio che dalla villa del Caleotto, sua dimora d'infanzia e delle vacanze estive, si svolge il centro del romanzo.
Con questo delizioso ricordo voglio cominciare la mia avventura fra le stradine di Lecco, solcate da monti e ruscelli che attraversano la città. Una metropoli nuova, niente da invidiare ad altre grandi città che la circondano (Milano, Como, Bergamo...). Il Manzoni ne era profondamente rapito dalla bellezza di questi luoghi. Bellezza che col tempo è mutata dalla tecnologia e dalla ricchezza urbanistica, ma che ha conservato il suo incanto negli occhi dei visitatori. Chi non conosce Lecco non può capire tale trasporto, quello che crea all'immaginazione, rapisce il cuore e gli occhi. Vedendo questo grande paesino accucciato sotto grandi rocce, le montagne che la proteggono e la nascondono, come per conservare la sua bellezza naturale per donare allo straniero una visuale pura e incontaminata dal progresso.
La villa del Caleotto appartenuta alla famiglia Manzoni
Eppure nel 1818 lo scrittore vende la villa del Caleotto e quasi tutte le sue proprietà a Lecco e quì non tornerà mai più.
Ma come ha fatto a staccarsi di tanta grazia agli occhi?
Si sa da sempre che lo scrittore ha bisogno di grandi fonti d'ispirazione per comporre le propie odi, ma pare che Lecco, nel suo cuore ha sempre viaggiato con esso, col suo bagaglio nel cuore.
Gli anni lecchesi di Alessandro Manzoni, i suoi primi venti, costituiscono il periodo della sua vita di cui si conosce di meno: anzi, esclusi pochissimi aneddoti, tutti riferiti da altri e qualche lettera, dei primi anni dello scrittore non è rimasto quasi nulla.
I dati sono talmente labili che si potrebbe perfino dubitare del suo lungo soggiorno a Lecco se non fosse per un tesimone indiscutibile, Manzoni stesso che, nel capitolo iniziale del Fermo e Lucia, la prima stesura del romanzo rimasta a lungo inedita, scrive in proposito:
    "...La giacitura della riviera, i contorni, e le viste lontane, tutto concorre a renderlo
     un paese che chiamerei uno dei più belli del mondo, se avendovi passata gran
     parte dell'infanzia e della puerizia, e le vacanze autunnali della prima giovinezza,
     non riflettessi che è impossibile dare un giudizio spassionato dei paesi a cui sono
     associate le memorie di quegli anni"(...).
L'infanzia, l'adolescenza e le vacanze autunnali, fino ai venti anni, insomma tutto il periodo della vita che ci lega indissolubilmente ad un luogo per sempre, un posto di cui conosciamo ogni cosa, la luce del cielo nelle giornate di vento, il colore del lago d'inverno, i nomi di tutte le montagne:
     "...Cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non
      meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo
      scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul
      pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio"(...).
I promessi sposi
L' "Addio monti sorgenti dalle acque"(...) di Lucia è l'addio di Manzoni ai paesi suoi. Sulla vendita di quella che non era una qualsiasi villa di vacanze ma la casa di famiglia da oltre due secoli sono state fatte le più diverse e contrastanti ipotesi, di natura finanziaria  e persino psicanalitica, ma la verità è più semplice.
Gabbianelle
Piazza del centro, Lecco
Manzoni vende tutte le sue propietà a Lecco per colpa di un'amministratore disonesto. Lascia la casa tanto amata costruita da un trisavolo, il fondatore della potenza del ramo lecchese della famiglia, il primo ad abitare stabilmente al Caleotto, fu Giacomo Maria, che accumulò un ingente patrimonio costituite da fucine, opifici, altiforni per la lavorazione del ferro, diventando il maggiore imprenditore siderurgico del Ducato di Milano. Signorotto potente e prepotente si circondava di Bravi e l'Archivio di Stato di Milano conserva gli atti dei numerosi processi che subì come mandante di numerosi omicidi. Nel 1630 durante la Grande Peste fu accusato di aver indotto dei monatti ad ungere le porte dei suoi concorrenti per propagare la peste. I due monatti furono messi a morte, mentre un'inchiesta del Senato di Milano lo scagionò dalle accuse.
Morì nel 1643, implicato in un ulteriore processo come mandante di un nuovo omicidio. E' probabile che la prima aspirazione dei Promessi Sposi, il romanzo del lontano nipote, derivi propio dalle sue vicende. La produzione siderurgica lecchese era allora, particolarmente importante, anche perchè gli Spagnoli, che governavano il Ducato di Milano, contavano molto sul ferro lecchese per armare i propi eserciti.
Mezzo di trasporto del 1600,
 attribuito all'episodio di Lucia
 che abbandona le terre natie
Nel 1818 il Manzoni delega lo zio, Giulio Beccaria, suo procuratore generale, di vendere tutte le sue propietà a Lecco, la casa in via Morone a Milano, e la villa di Brusuglio, ereditata dalla madre. Cambiamenti repentini e radicali come questo contrassegnano tutta la sua vita e sgorgano all'improvviso, ma si tratta dello sbocco di percorsi interiori. Propio in questi anni egli vive una delle sue più profonde crisi esistenziali, una crisi che, forse, si illude di risolvere tagliando ogni legame col passato e con l'Italia trasferendosi in Francia.
"Quella Francia che" come aveva scritto nel 1810 "non si può abbandonare senza che al ricordo di averla abitata (...) non si mescoli (...) una profonda sensazione d'esilio" (...).
Monumento dedicato ad
Alessandro Manzoni con le scene de
 "I promessi Sposi"
Lecco
E in esilio si sentiva il Manzoni nella Milano del ritorno degli Austriaci, tanto remota e provinciale rispetto all'amata Parigi.
Le trattative su queste ulteriori vendite vanno per le lunghe, Manzoni esce dalla profonda crisi in cui si ritrova, ma, ormai, la vendita della villa del Caleotto è perfezionata e non si può tornare indietro (venduta alla famiglia Scola, che non avendo eredi la donò al Comune di Lecco e ne fece un museo in ricordo dell'illustre compaesano).
Stefano Stampa, il suo figliastro, autore di una documentatissima biografia del patrigno, scrive parlando del finale dei Promessi Sposi: "Egli (Manzoni) sentì fortemente un'invidia mentale verso de' suoi stessi personaggi, se li avvesse fatti vivere felici nel loro delizioso territorio, nel quale egli possedeva quella casa da lui tanto amata. E lì trasportò nel Bergamasco, come Lui da Lecco si era trasportato a Brusuglio".

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