L'autunno è la mia stagione preferita, per i suoi colori in natura, che variano tra il rosso, il marrone, il giallo, l'arancione, il beige,... per il suo clima non afoso e i profumi che la natura ci regala. In particolare, nel mio paese, quando passeggi, o vai a fare la spesa, senti emanare dalle finestre gli odori tipici del nostro pane, le nostre caldarroste sul fuoco, i funghi grigliati, l'odore dei mandarini, fritti tipici del posto, torte calde... e poi la meravigliosa fragranza delle orecchiette con le cime di rape. Un piatto tipico pugliese che si sposa bene di questi periodi.
"La primavera e l'autunno erano le stagioni che duravano meno. Erano, fuorchè nei monti che sorgevano di là dalle colline, tante delicate e tenere, minacciate a ogni istante dal loro stesso progredire nei colori e nelle forme che creavano sulla terra, che per goderle accorrevo là dove mi sembrava fossero presenti più che in altri luoghi: nei campi, in cui nei campi le piante rinverdivano dopo l'inverno o appassivano dopo l'estate macchiando di giallo il terreno; sulla sommità delle colline d'un tratto folte e spoglie. Guardavo il sole precipitare oltre le colline e i monti. Nessuna novità poteva sfuggirmi: le macchie gialle nella uniformità cupa dei boschi; un raggio di sole che colpiva come una lama il fianco di una collina, un uccello nero e disperato che attardatosi nella sera si smarriva.
In primavera e in autunno la città ritrovava i suoi colori più veri, i colori delle materie con cui era costruita da secoli: mattoni, marmo e pietra: rosso, bianco e nero, grigio. il marmo e la pietra erano nudi e vivi come nelle cave delle colline e dei monti; i mattoni rossi come la terra che circondava la città. La primavera e l'autunno erano le stagioni che lasciavano intatti i colori dei palazzi, delle chiese e dei giardini. Il marmo occupa i luoghi preminenti della città, incastonato quale gemma nella massa dominante dei mattoni e della pietra.
D'inverno, ed era ancora pomeriggio, i lampioni venivano accesi presto perchè le strade della città si facevano subito buie. la loro luce schiariva gli alti palazzi di pietra e di marmo contro il cielo già cupo per le nubi grandi e pesanti che venivano ad addentrarsi su di essi, ampliava le austere facciate, le torri, i merli, accentuandone e indurendone le linee. I palazzi di mattoni si protendevano in avanti, chiudevano le strade , creando ombre più folte di quelle di una foresta; tutto era una muraglia spessa, implacabile, oltre e dentro la quale era perfino impossibile immaginare che esistessero terrazze, verande, piazze e giardini. Io pensavo che a noi giovani mancava di aver visto nascere una città. La città si raccoglieva su sé stessa e chiamava i suoi abitanti a immergersi nel chiuso delle sue mura. Allora scendevo il versante della vallata opposta a quella che custodiva la piscina. Un viottolo portava a un'altra fonte, anch'essa alta, a tre archi, e poi si perdeva nei campi. A poco a poco l'ombra invadeva la campagna lontana e vicina e si incupiva nel fondo della valle, dove boschi di lecci e di querce correvano a fare argini ai prati. L'ombra copriva le strade che morivano tra i campi, i fianchi delle colline. La valle da rossa e grigia di terra diventava turchina, contro un cielo violaceo e poi focoso. Tutto tornava infine nitido, approssimandosi la notte. Il bosco toccando il cielo lo tingeva di nero. Ogni albero era distinto dall'altro, le strade macchiate di sangue. Pensavo che le strade non avrebbero mai potuto proseguire oltre da dove si erano arrestati nei campi; anche i miei pensieri risentivano di quella fine improvvisa e imperscrutabile. Colmo di una vaga angoscia risalivo verso la citta".