Benvenuti nel mio blog

Benvenuti nel mio blog
sito
/a>

lunedì 6 dicembre 2010

Storie di Natale



Quando Santa Claus vestiva di Verde

La volta che fra le trincee si smise di sparare
Le origini del presepe e dei suoi personaggi


(Babbo Natale in una cartolina dei primi del'900. In origine il suo abito era verde: diventò rosso per una pubblicità della Coca-Cola)
Il primo Natale della storia
Che fosse dicembre, e improbabile. Che corresse l'Anno Zero (o più probabilmente Uno), è impossibile. Che fossero presenti un asino e un bue, lo dicono solo alcuni testi che la Chiesa rigetta come apocrifi. Che tutto avvenisse in una grotta, idem. Infine, che nel cielo notturno brillasse una cometa, è una suggestiva leggenda inventata di sana pianta nel clima culturale del tardo Medioevo, 13 secoli dopo i fatti, quando Carlo Magno era già morto da 500 anni e Dante Alighieri aveva già doppiato il famoso "mezzo del cammin" della sua vita. Dunque come fu, in realtà, il primo Natale della storia, quello che si festeggiò a Betlemme due millenni (abbondanti) fa? La domanda è di quelle che Mike Bongiorno avrebbe definito "da cento milioni", perchè le fonti di notizie sono scarsissime. Dei quattro evangelisti canonici, due (Marco e Giovanni) non dicono nulla sul tema; un terzo dedica al Natale un versetto telegrafico:"Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode" (Matteo, 2:1). Solo il vangelo di Luca indugia su qualche dettaglio.
DISUMANIZZATO. Tanto silenzio non deve stupire: i primi cristiani consideravano sconveniente parlare di certi aspetti della vita del Messia, ritenuti troppo "terreni". Ancora all'inizio del terzo secolo, chi cercava dettagli sul primo Natale si tirava addosso il sarcasmo di un padre della Chiesa, Clemente Alessandrino: "Costoro no si contentano di sapere in che anno è nato il Signore, ma con troppa curiosità cercano anche il giorno!". E un altro "padre", Origene (185-254), arrivò a teorizzare: " Nelle scritture solo i peccatori, non i santi, celebrano la loro nascita". In questo quadro non è strano che tre vangeli tracciano sul Natale, ma semmai che uno ne parli. Ecco il testo controcorrente: "Ora, mentre si trovavano in quel luogo (Betlemme, ndr) si compirono per lei (Maria ndr) i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perchè non c'era posto per loro nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria di Dio li avvolse di Luce" (Luca, 2:6-9). Come si può notare, il testo non cita alcuna cometa, alcuna coppia di bue-asinello, alcuna grotta. Parla invece di una mangiatoia, che sottointende una stalla. Ancora: il testo non parla di dicembre e tanto meno del giorno 25. Anzi, i casi sono due: o l'episodio dell'adorazione dei pastori (che ispirò nei secoli seguenti molti artisti) è solo una fantasia, oppure il primo Natale fu in un'altra stagione, visto che l'inverno in Giudea è troppo freddo perchè uomini e greggi dormano all'aperto di notte.
L'affermazione si basa su precisi dati meteo: negli anni '50 un noto storico e divulgatore tedesco, Werner Keller, nel best-seller La Bibbia aveva ragione (Garzanti) si prese la briga di misurare le temperature medie notturne di Hebron, a 20 chilometri da Betlemme: Ecco i risultati: dicembre -2,8°, gennaio -16,6°, febbraio -0,1°. Il tutto abbinato a fitte piogge (dicembre 147 mm, gennaio 187 mm). "Con temperature sotto lo zero" concluse "neppure nella Terra Promessa poteva esserci bestiame al pascolo".
CALENDARI BALLERINI. Quando dovremmo far festa, allora? Il mondo cristiano risponde in ordine sparso. La scelta del 25 dicembre, che oggi accomuna cattolici e protestanti, non è condivisa da ortodossi, copti e armeni, che comunque puntano su date invernali (6 o 7 gennaio, secondo le confessioni e il ritmo degli anni bisestili).
Un tempo il calendario liturgico era ancor più variegato: alla fine del III secolo, quando i cristiani iniziarono a uscire dalle catacombe, in Tunisia il Natale si celebrava il 28 marzo, in Egitto il 20 maggio e a Roma forse mai. Insomma: in assenza di notizie certe, sulla data del "vero Natale" molti sono andati a briglia sciolta, senza timore di essere smentiti.
L'osservazione non riguarda solo i credenti, ma anche i laici, che spesso si sono sbizzarriti a loro volta in ipotesi fantasiose: una trentina di anni fa l'inglese David Highes, in base a calcoli estremamente complessi, lanciò una teoria secondo cui Gesù sarebbe nato il 15 settembre. Si badi: Hughes non era un fanatico religioso in cerca di notorietà, bensì un serio docente di Astronomia dell'università di Sheffield (Inghilterra).
FESTA SOLARE. Quando e perchè, dunque, fra i molti presunti compleanni di Gesù, ha prevalso il 25 dicembre? Chi scava alle radici della festa cristiana non trova evangelisti, ma un paganissimo imperatore romano, un papa e un calligrafo.
L'imperatore era Aureliano, prode militare nato nell'attuale Serbia che, volendo unificare culturalmente il mondo romano, nel 274 istituì per decreto un dio uguale per tutti i sudditi (il sol invictus), fissandone la festa (Dies natalis) poco dopo il solstizio d'inverno, quando le giornate ricominciano ad allungarsi. Così i cristiani trovarono il Natale del Dio Unico già bell'è pronto. E presto sostituirono il Sole con Gesù. Poi arrivò il papa, che si chiamava Giulio I: probabilmente fu lui a fissare ufficialmente la festa a fine dicembre. Ciò accadde entro il 352, quando il cristianesimo era legale. da 40 anni scarsi. Poco dopo o poco prima (fra il 336 e il 354) un calligrafo, tale Furio Dionisio Filocalo, disegnò la Depositio martyrum, il primo calendario liturgico, dove Natale era segnato a ridosso delle "calende di gennaio" (il nostro Capodanno).
Dunque il Natale, festa d'inverno, per eccellenza, nacque per mettere in ombra una ricorrenza pagana? E' l'ipotesi più gettonata, benchè non l'unica. Ma se è così, dai nostri presepi va tolta la farina che, un tempo si spargeva a mò di neve sulle colline: meglio decorare tutto con primule e violette di primavera, o con foglie rosse autunnali.
NIENTE GROTTA. Per fare presepi storicamente corretti, però, andrebbero tolte anche altre cose: per esempio il bue, l'asinello, la cometa e la stessa grotta.
Partiamo dalla grotta. La devozione popolare da 17 secoli la identifica in una precisa cavità (naturale, ma "ristrutturata") lunga circa 13 metri e alta oltre 3, trasformata in cripta all'interno della Basilica (ortodossa) della Natività che si affaccia su una piazza detta "della Mangiatoia", nel centro di Betlemme. Chi scende laggiù trova due altari, un mosaico malconcio e una stella d'argento incastonata nel pavimento, nel punto dove la Madonna avrebbe partorito Gesù: "Hic de virgine Maria Jesus Christus est" avverte una scritta. Ebbene, la venerazione di quella cavità non si basa su prove storiche, nè risale ai primi cristiani: la più antica notizia del culto legato al luogo è del 326, il mosaico è d'epoca crociata e la stella fu collocata addirittura nel 1717. Di più: come si diceva, i vangeli canonici non citano grotte; a parlare sono solo gli apocrifi, quasi tutti del IV-V secolo. Un esempio, tratto dal Vangelo armeno: "Poi Giuseppe scorse una grotta piuttosto grande, dove dei contadini e dei pastori, che lavoravano nei dintorni, si riunivano e mettevano a riparo le greggi".
Agli apocrifi risale anche la tradizione del bue e dell'asinello. Il primo a parlarne fu un testo (forse del IV secolo) a cui un falsario aggiunse la firma di san Matteo: "Tre giorni dopo la nascita del Signore, Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla; mise il bambino nella mangiatoia e il bue e l'asino lo adorarono".
La cometa, infine, è un'invenzione artistica del pittore Giotto, che nel 1303-05 la dipinse nella cappella degli scrovegni a Padova. Da allora la cometa è diventata quasi un dogma. Eppure i testi antichi che raccontano la storia dei Magi, come il Protovangelo di Giacomo, parlano solo dell'apparizione di un astro anomalo: "Una stella grandissima, che brillava tra le altre e le oscurava, così che le stelle non si vedevano".
OCCHIO AL CIELO. Da secoli molti si chiedono se quell'astro era reale o solo un simbolo letterario. Rispondere al quesito può servire a sciogliere anche un'altro interrogativo: quanto tempo fa inizio l'era cristiana? La domanda può sembrare scontata, visto che oggi contiamo gli anni "avanti Cristo" e "dopo Cristo". Ma non è così.
I dubbi nascono dall'esame di due vangeli canonici, in contraddizione fra loro. Matteo colloca la nascita di Gesù "al tempo di Erode". Luca afferma invece che Maria e Giuseppe andarono a Betlemme per un censimento indetto "quando era governatore della Sirua Quirinio". Ma Erode il Grande morì nel 4 sec. a.C. e il "censimento di Quirinio" pare sia del 6 d.C. Quindi i conti non tornano. L'unica cosa chiara e che Cristo non nacque nel primo anno della nostra era, bensì dopo o (quasi certamente) prima.
Per capirne di più occorre passare dal Natale all'Epifania. A far pendere la bilancia a favore dell'ipotesi, a prima vista paradossale, del "Cristo avanti Cristo" è infatti la "stella" dei Magi. Quello strano e luminosissimo astro nel cielo del Medio Oriente, se davvero ci fu, non era nè una stella nè una cometa, ma forse una congiunzione di pianeti. A intuirlo, nel lontano 1603, fu l'astronomo tedesco Johannes Kepler, che sull'argomento scrisse un trattatello intitolato De anno Natali Christi. "Se due pianeti finiscono sullo stesso asse rispetto alla Terra" spiega l'astrofisico Corrado Lamberti "chi li guarda ha l'impressione di trovarsi di fronte a un unico grande astro, più luminoso degli altri. Ebbene, sappiamo che nel 7 a.C. Giove e Saturno si trovarono in questa posizione per ben tre volte. Il fenomeno fu notato da astronomi babilonesi, che ne lasciarono traccia scritta".
Fu dunque quell'incontro Giove-Saturno la "stella" apparsa dopo il primo Natale? Probabilmente si, anche perchè la data è precedente la fine del regno di Erode, quindi compatibilecon la datazione della nascita di Gesù tramandata dal Vangelo di Matteo (prima del 4 a.C). La diversa collocazione temporale suggerita da Luca resta un problema, ma non insuperabile: a porre il censimento al 6 d.C. è una sola fonte, l'antico storico ebreo Flavio Giuseppe, che in fatto di date non era sempre precisissimo. Perciò alcuni storici tendono ad anticipare quel censimento all'8-6 a.C.
PROFEZIE. Ma se Gesù nacque davvero nel 7 a.C., perchè il conto del "dopo Cristo" parte da decennio successivo? Per un involontario errore di calcolo, compiuto da un monaco del VI secolo, Dionigi il Piccolo. E perchè gli apocrifi aggiunsero alle scarne notizie sulla natività dettagli come l'asino e il bue? Per mero zelo teologico. "Si voleva far quadrare la vita del Cristo con le profezie bibliche, per dimostrare che Gesù era l'atteso Messia" spiega Vito Mancuso, docente di teologia all'Università Vita-salute San Raffaele di Milano.
Sono due le profezie che hanno dato origine agli animali del presepe. Ma la prima assomiglia agli enigmatici versi di Nostradamus, dove si può leggere tutto è niente: "Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone" (Isaia, 1:3). La seconda, poi, è solo un errore di traduzione dal greco: "Ti manifesterai in mezzo a due animali" recita una versione latina del libro di Abacuc che confonde il vocabolo zoòn (animale) con zoè (età). Così, per allinearsi a un enigma e a un errore, gli apocrifi falsificarono la Storia. "In realtà parlare di falsificazione di fronte a casi simili è un anacronismo culturale" osserva Mancuso. "Per chi scriveva nei primi secoli era più importante trasmettere messaggi teologici ortodossi più che notizie storiche esatte: Perciò si ricorreva a espedienti narrativi, a forzature che hanno un nome preciso: "teologumeni". Ciò vale anche per i testi canonici: se Matteo e Luca affermano che Gesù nacque a Betlemme, probabilmente lo fanno solo per adattare i vangeli a una profezia".
L'ultima frase sorprendente: Mancuso non solo è cattolico, ma è anche un ex sacerdote che pubblica libri con la prefazione del cardinal Martini; eppure mette in forse la veridicità di due testi sacri. "In realtà io tendo a credere ad altri passi evangelici, dove si suggerisce che Gesù nacque a Nazaret" spiega Mancuso. "Marco, per esempio, afferma questa cittadina della Galilea è la patrìs di Gesù. E la parola patrìs vuol dire appunto "luogo natale". Insomma: i vangeli non sono univoci. E gli storici moderni credono più a Marco". Ma perchè Matteo e Luca avrebbero "falsificato" il luogo di nascita di Gesù? "Perchè secondo una profezia il "Messia" doveva venire al mondo a Betlemme" conclude lo studioso. "Il testo a cui allude Mancuso è un versetto biblico tratto dal Libro di Michea, cade anche l'ultima certezza: dopo la grotta, l'asinello, il bue e la cometa, dalla scena del premio Natale esce persino Betlemme, falsa patrìs di Gesù.
Il presepe vivente di Gesù importato dalla Francia
Dove e quando nacque il presepe? Ufficialmente a Greccio (Rieti) nel 1223, su iniziativa di san Francesco d'Assisi e di un pio signorotto locale, Giovanni Vellita. A raccontarlo è Tommaso da Celano (1190-1260), un frate che scrisse una biografia del santo. Queste, secondo Tommaso, le disposizioni date da Francesco a Giovanni: "Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza di cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello".
Dal vivo. Il nobile Vellita eseguì, realizzando un presepe vivente, dove anche l'asino e il bue erano veri. Solo gesù neonato era un bambolotto, realizzato dalla moglie di Giovanni, madonna Alticana.
Precisazione doverosa: quello di Greccio non fu il primo presepe nel mondo, ma al massimo il primo in Italia, perchè già nei decenni precedenti rappresentazioni della Natività di Gesù si tenevano in Europa e soprattutto in Provenza, dove è ancora vivissima la produzione dei santons, le statuette del presepe.


Londra, 1657: Natale vietato
Il Natale non fu sempre sinonimo di festa: dal 1647 al 1657, nel pieno della Guerra civile inglese, il governo del puritano Cromwell proibì la festività declassandola a un giorno di "penitenza ed esame di coscienza" in cui l'obbligo non era festeggiare, ma lavorare. Non si sa in quanti obbedirono, ma il Parlamento dette il buon esempio riunendosi propio il 25 dicembre. Lo stesso avvenne per Pasqua e Pentecoste. L'obbiettivo, secondo gli storici, era evitare che l'arcaico ciclo di lavoro e festa trasformasse la ricorrenza religiosa in un periodo di bisboccia, come accadeva ancora nel Medioevo.
Nel 1659 lo stesso provvedimento fu varato in America, nelle colonie fondate dai puritani espatriati dall'Inghilterra. Nel massachusetts la festività del Natale fu bandita almeno fino al 1681.
Ignorato. Questa messa all'indice in parte del mondo anglosassone spiegherebbe come mai oltre un secolo dopo, in Inghilterra, il Natale non facesse notizia. Un commentatore di inizio Ottocento notò che il quotidiano inglese Times, dal 1790 al 1835, non l'aveva mai menzionato, neppure il 25 dicembre.

Pace in trincea
Molti la considerano la più bella favola di Natale, paragonandola a un miracolo. Nei libri di Storia non ce n’è quasi traccia, tuttavia se ne parla in film e romanzi, nonché in una struggente canzone folk dell’artista inglese Mike Harding, dal titolo Christmas 1914. Eccone alcuni versi: “I fucili rimasero in silenzio […] senza disturbare la notte. Parlammo, cantammo, ridemmo […] e a Natale giocammo a calcio insieme, nel fango della terra di nessuno”. La partita in questione si svolse realmente, e fu giocata il 25 dicembre 1914 nei pressi della cittadina belga di Ypres. Campo di gioco: la no man’s land (“terra di nessuno”), lo spazio che divideva le trincee inglesi da quelle tedesche. Fu il momento culminante di quella che passerà alla Storia come “tregua di Natale”.
CONFLITTO. Nell’estate del 1914 l’Europa era divenuta teatro di una guerra che vedeva opposti due grandi schieramenti: Gran Bretagna, Francia e Russia da una parte; Germania, Austria-Ungheria e Turchia dall’altra. Più tardi sarebbero entrati nel conflitto anche Bulgaria, Giappone, Italia, Stati Uniti e una serie di Paesi “minori”, trasformando così la contesa nella prima guerra su scala globale dell’umanità. All’inizio il fronte più caldo fu proprio quello occidentale (tra il Belgio e il Nord della Francia) dove inglesi, francesi e belgi dovettero contrastare l’avanzata tedesca. Dopo una sanguinosa battaglia nei pressi di Ypres, a fine autunno gli eserciti si ritrovarono però impantanati (qui e altrove) in un’estenuante guerra di logoramento tutta combattuta intorno alle trincee. Da questi fossati profondi un paio di metri e rinforzati alla buona con tavole di legno, i soldati si lanciavano quotidianamente all’assalto del nemico, guadagnando o cedendo ogni volta pochi metri di terreno e trascorrendo il resto della giornata tra fango, pioggia e cadaveri in decomposizione. Queste condizioni riguardavano tutti e il “mal comune” provocò presto il verificarsi di episodi di solidarietà tra nemici (che si trovavano peraltro a pochi passi di distanza gli uni dagli altri). I soldati dei due eserciti cominciarono a scambiarsi alcuni “favori”, come non aprire il fuoco durante i pasti. Quel che contava era salvare le apparenze con i superiori (si rischiava l’accusa di tradimento) e portare a casa la pelle.
GIU' LE ARMI. Il compito di punire i soldati che si fossero mostrati troppo concilianti con i nemici spettava agli ufficiali dei comandi, gli unici che avrebbero potuto stabilire una tregua. Tale regola, a Ypres e in altre zone del fronte, sarebbe però stata infranta nel dicembre del 1914. Dopo aver dato ordine alle truppe di non interrompere per nessun motivo i combattimenti, i comandi dei due eserciti fecero arrivare nelle prime linee piccoli pacchi dono (era pur sempre Natale) contenenti dolci, liquori, tabacco, alberelli natalizi e candele. A Ypres, la sera della vigilia, i tedeschi addobbarono le postazioni scambiandosi gli auguri e cantando motivetti natalizi; in una trincea qualcuno intonò la canzone Stille nacht, Silent night per gli inglesi. Da quel momento, e per buona parte della serata, i soldati dei due eserciti non smisero più di cantare, ognuno nella propria lingua e ognuno al riparo della propria postazione. “Quando addobbammo gli alberi e accendemmo le candele, dall’altra parte giunsero fischi di gioia e applausi […]. Poi cantammo tutti quanti assieme” testimonierà in seguito il soldato tedesco Kurt Zehmisch, nel libro Silent night: the story of the World war I Christmas truce, il libro dello storico americano Stanley Weintraub che negli Anni ’80 ricostruì la vicenda. Al momento di andare a dormire un po’ tutti erano ormai convinti che qualcosa di straordinario stesse per verificarsi: all’alba i tedeschi esposero infatti piccoli cartelli con le scritte “Buon Natale” e “Non sparate, noi non spariamo”. Era il segnale d’inizio.
FRATELLANZA. Ricominciarono i canti e gli applausi, poi dalla trincea tedesca uscì un uomo: nella nebbia gli inglesi lo intravidero appena, quanto bastava per notare che era disarmato. I britannici, increduli, uscirono dai loro ripari e si incamminarono verso i tedeschi, che fecero altrettanto. “Ho visto la cosa più straordinaria che si possa vedere: stavamo per sparare a quel tedesco […] e poco dopo eravamo tutti in festa” scrisse il soldato inglese Dougan Charter in una lettera alla famiglia. Dopo aver sepolto i corpi dei commilitoni uccisi nei combattimenti dei giorni precedenti, i due schieramenti fraternizzarono, preparando una festa in piena regola. “Fritz portò sigari e brandy, Tommy della carne di manzo e sigarette” canta Mike Harding nella sua canzone. Senza inventarsi nulla: nel diario di campo del 133° Reggimento sassone si parla infatti di un tedesco di nome Fritz e anche di Tommy, un soldato inglese che si mise a tagliar capelli ai nemici in cambio di qualche sigaretta. Nel frattempo attorno a lui tutti si scambiavano abbracci e visite di cortesia. Inglesi e tedeschi si regalarono caffè e cioccolata, marmellata e sigari, tè e whisky, nonché alcuni accessori delle divise. Ci fu persino chi si fece fotografare in gruppo. “Non vi fu un solo momento di odio: per un po’ nessuno pensò più alla guerra” disse il soldato britannico Bruce Bairnsfather. Quasi una scena da film, che in effetti si ritroverà nel copione di Joyeux Noël, pellicola del 2005 di Christian Carion.
IN CAMPO. Prima che gli altri comandi potessero intervenire interrompendo la tregua, i soldati fecero un patto solenne: nel caso di ripresa dei combattimenti nessuno avrebbe mirato ad altezza uomo, ma reso inoffensive le munizioni “sparando alle stelle in cielo”. La notizia della tregua intanto si diffuse, e in poche ore la febbre da armistizio contagiò due terzi del fronte occidentale: quasi dappertutto inglesi e tedeschi si tesero la mano e festeggiarono assieme. Il simbolo di quell’insolito Natale di guerra divenne la partita di calcio che si tenne a Ypres fra le truppe inglesi del reggimento Scottish seaforth highlanders e quelle tedesche del Reggimento sassone (ma quel giorno le partite di calcio furono in realtà più di una). I palloni furono messi insieme con stracci pieni di sabbia legati con lo spago, mentre le porte furono delimitate da pile di cappotti: per qualche ora la “terra di nessuno” si trasformò in un campo di calcio. Nei giorni successivi, i familiari dei soldati furono inondati di lettere e foto dell’evento, che finirono ai quotidiani. La stampa (sottoposta alla censura) ne ritardò però la pubblicazione e le prime notizie trapelarono solo sul New York Times. A quel punto si svegliò anche la stampa europea, e il 1° gennaio 1915 il londinese Times pubblicò un articolo su quella partita, riportando anche il risultato finale: 3 a 2 per i tedeschi. Le notizie sulla tregua trovarono in seguito sempre più spazio sui giornali nordeuropei, con titoli euforici e commossi come: “Straordinario: inglesi e tedeschi si stringono la mano”.
SIPARIO. In alcuni casi la tregua durò fino a Capodanno, ma quasi ovunque tutto finì la sera stessa di Natale. “Ci salutammo e rientrammo nelle trincee […] poi udimmo dei colpi […]: la guerra era ricominciata” ricorderà malinconico il capitano inglese J. C. Dunn. Ma gli alti comandi dei due eserciti non ebbero nessuna nostalgia di quell’evento. Si diedero da fare per impedire che altre scandalose tregue si ripetessero: si andò dalla minaccia di corte marziale per chiunque avesse avuto contatti con il nemico all’idea di bombardare le trincee nei giorni precedenti ogni Natale. Inoltre, per evitare che i soldati familiarizzassero col nemico, fu deciso di spostarli a turno in diverse zone del fronte. Partì anche un’operazione di censura di qualsiasi notizia che riguardasse la tregua del 1914 e si arrivò a negare ufficialmente che fosse mai avvenuta. Tutto ciò non bastò a impedire futuri “gemellaggi”. Ma lo spirito di quel primo Natale di guerra non fu mai più eguagliato. Lo riassumono i ricordi del soldato inglese George Eade: “Un tedesco mi sussurrò con voce tremante: oggi abbiamo avuto la pace, ma da domani tu combatterai per il tuo Paese e io per il mio. Buona fortuna”. Poi, in silenzio, tornò dalla propria parte. Il miracolo era finito.
MASSACRO. Nel 1915 la guerra riprese più dura che mai. E negli anni successivi Ypres divenne famosa per i bombardamenti con armi chimiche che coinvolsero anche la popolazione (la cittadina diede il nome a uno dei gas utilizzati, l’iprite). Ad annunciare il ritorno alla normalità guerresca, tra i britannici, fu un secco comunicato alle truppe: “Mai più tregue, partite di calcio incluse […]. In guerra non bisogna mai interrompere l’uccisione del nemico”. E così, in pochi mesi, quella bella storia di Natale fu relegata nell’oblio. Non tutti la presero male: un soldato di origini austriache, all’epoca dei fatti di stanza proprio nella zona di Ypres, fu ben lieto di ricominciare a sparare, avendo criticato con violenza quella “stupida tregua”. Il suo nome era Adolf Hitler. Di opinione opposta, invece, restò sempre Bertie Felstead, un signore inglese morto il 22 luglio 2001, a 106 anni. Bertie era l’ultimo reduce ancora in vita ad aver preso parte a una certa partita di calcio giocata in uno speciale giorno di Natale: la meno famosa, ma forse la più straordinaria della Storia.

La vera storia di Babbo Natale

La nascita del più famoso porta doni, tra folletti nordici e santi cristiani, fino alla Coca-Cola.

Quando è nato Babbo Natale? Anzi: quando, come e soprattutto dove? Tre Paesi (Norvegia, Svezia e Finlandia) si disputano la cittadinanza esclusiva e la paternità del personaggio simbolo del Natale laico. Che però è figlio di molti padri e molte patrie (inclusi gli Usa) e ha varie date di nascita, sgranate fra l'alba dei tempi e gli Anni '30 del Novecento. Insomma, l'odierno Babbo Natale è nato "a tappe" dalla sovrapposizione di personaggi diversi, fra qui vari genietti dei miti nordici e un paio di santi cristiani.

FOLLETTO. Non c'è dubbio che l'anziano dispensatore di doni abbia le sue radici nel Nord Europa, dove conta tre residenze "ufficiali", dotate di uffici postali dedicati, che gestiscono le lettere spedite dai bambini: in Finlandia c'è Rovaniemi, cittadina sul Circolo polare; in Svezia Tomteland, sul lago Siljan, a nord-est di Stoccolma; in Norvegia Drobak, sul fiordo di Oslo. La tripla residenza è logica, perchè Babbo Natale ha antenati in tutte e tre i Paesi: i tomten in Svezia, i nissen in Norvegia e joulupukki in Finlandia.

I tomten e i nissen sono folletti della mitologia vichinga, che secondo la tradizione vivono sotto le abitazioni degli uomini e campano dei loro avanzi. Per questo nelle campagne scandinave, ogni giovedì sera, per tutto l'anno i bambini mettono fuori dalla porta i resti della cena. I folletti ricambiano in inverno, portando loro dei doni. Quanto a joulupukki, porta doni a sua volta, ma è una capra che secondo un'antica leggenda lappone vivrebbe sulla Korvatunturi, una strana altura a forma di orecchia, a ridosso del confine russo.

COLLEGHI. A questi portatori di doni dal Dna pagano si sono affiancati due "colleghi" cristiani: san Basilio nel mondo slavo e san Nicola in quello germanico. Il primo, in origine, non girava per le case a Natale, ma a Capodanno. E tutt'ora il secondo fa lo stesso il 6 dicembre, vestito da vescovo e in compagnia di un diavolo (Krampus). Si tratta di figure ben diverse dai folletti nordici, eppure propio san Nicola (in olandese Sinter Klaas, storpiato poi in "Santa Claus") ha finito per fondersi coi tomten-nissen.

FATTO VERDE. Ma dove ha avuto luogo l'improbabile sovrapposizione? In America, a inizio '800: la più antica traccia scritta di questo "sincretismo" è una poesia pubblicata nel 1823 sul Sentinel, un giornale di Troy (New York) è dedicata a un "Santa Claus" che però somigliava ai nissen e viaggiava su una slitta con renne. L'iconografia saltò il fosso più tardi, nel 1875, quando una pittrice svedese, Jenny Nystrom, lanciò una serie di cartoline augurali con le prime immagini di un Babbo Natale moderno, ma che vestiva di verde. Fu l'illustratore americano Haddon Sundblom, nel 1930, a codificare l'abito biancorosso che conosciamo. Perchè la scelta? Perchè la committente di Sundblom era la Coca-Cola, che usò poi Babbo Natale come testimonial fisso della sua bibita, venduta in lattina con gli stessi colori. Così Santa Claus partì alla conquista del mondo, in tandem con la Coca. Cui il mondo comunista reagì rispolverando la figura di Ded Moroz (Nonno Gelo).

Tratto da "Focus Storia", dicembre 2009

lunedì 22 novembre 2010



22 novembre
Santa Cecilia
Vergine e Martire
Al momento della revisione del calendario dei santi tra i titolari delle basiliche romane solo la memoria di santa Cecilia è rimasta alla data tradizionale. Degli altri molti sono stati soppressi perché mancavano dati o anche indizi storici riguardo il loro culto. Anche riguardo a Cecilia, venerata come martire e onorata come patrona dei musicisti, è difficile reperire dati storici completi ma a sostenerne l'importanza è la certezza storica dell'antichità del suo culto. Due i fatti accertati: il «titolo» basilicale di Cecilia è antichissimo, sicuramente anteriore all'anno 313, cioè all'età di Costantino; la festa della santa veniva già celebrata, nella sua basilica di Trastevere, nell'anno 545. Sembra inoltre che Cecilia venne sepolta nelle Catacombe di San Callisto, in un posto d'onore, accanto alla cosiddetta «Cripta dei Papi», trasferita poi da Pasquale I nella cripta della basilica trasteverina. La famosa «Passio», un testo più letterario che storico, attribuisce a Cecilia una serie di drammatiche avventure, terminate con le più crudeli torture e conclusesi con il taglio della testa.

Con questa data cominciano le festività natalizie, e di conseguenza, le domeniche di avvento.
Nel mio paese, è tradizione mangiare le pettole per l'augurio di un felice cammino verso il Natale.

Pettole

500g di farina "00"
un palmo di farina di semola
acqua calda salata q..b.
mezzo cubetto di lievito di birra
olio extra vergine d'oliva

In una ciotola preparate le farine e mischiatele. Far sciogliere il lievito e amalgamare tutto con acqua calda salata. Coprire con un canovaccio e far lievitare per circa un'ora, un'ora e mezza.
In un pentolino per la frittura, a parete alta, aggiungere abbondante olio e fumarlo per bene. Quando l'olio è ben caldo aggiungere un cucchiaio per volta d'impasto e farle dorare. Asciugarle per bene con della carta assorbente e servire ben caldi con miele o semplicementi asciutti.
Si possono creare delle avarianti. La mia mamma, stufa della solita pettola, una sera li fece con prosciutto e mozzarella, basta solo aggiungerli nell'impasta, niente di complicato.
Ho sentito dire che a Taranto li fanno con la nutella. E in altri paesini aggiungono olive o salumi.
Tutto per accogliere le festività natalizie.

Buone feste

martedì 16 novembre 2010

Cassetta degli attrezzi

Che cos'è la fiaba

La fiaba è una narrazione popolare,, destinata inizialmente alla trasmissione orale e a un pubblico di bambini che racconta vicende ambientate in un mondo nel quale gli elementi magici e meravigliosi si intrecciano con tratti della vita reale.

Quello della fiaba è un mondo magico e meraviglioso, popolato di fate, re principi e principesse, orchi e draghi, animali parlanti dotati spesso di poteri straordinari, dove sono "normali" le trasformazioni, gli incantesimi, i miracoli, e dove la morte, spesso temporanea, si presenta come inghiottimento o divoramento da parte di animali favolosi (draghi, lupi, ecc...). Questo mondo fiabesco si integra, sotto certi aspetti, con quello reale: esistono infatti nelle fiabe, accanto a incantesimi e magie, anche situazioni verosimili (mestieri tradizionali, famiglie povere, giovani in cerca di fortuna e cosi via). L'intreccio fra magia e realtà non provoca alcun turbamento, dato che tutto ciò che rientra nella sfera del meraviglioso viene accettato sia dai personaggi delle fiabe sia dai lettori come qualcosa di naturale.

Luoghi e tempi sono indeterminati: è classico l'avvio C'era una volta..., grazie al quale ci troviamo fin dall'inizio trasportati in una dimensione dove il tempo, lo spazio e tutte le altre convenzioni umane hanno poca rilevanza. Il ritorno dal mondo meraviglioso della fiaba a quello della realtà è talora segnalato da formule di congedo di vario tipo, per esempio: Stretta la foglia, larga la via,/ dite la vostra, che ho detto la mia, oppure, chi non lo crede, paghi un tallero o ancora e vissero felici e contenti fra mille godimenti; a quelle nozze anch'io ci sono stato, e ciambelle a bizzeffe ho mangiato.

Le fiabe sono nate sulla bocca del popolo e sono state tramandate per tradizione orale dalle nonne che a loro volta le avevano raccolte dalla viva voce dei loro vecchi, e così via, a ritroso nel tempo. Anche se adesso noi le consideriamo un genere rivolto soprattutto ai bambini, esse in effetti costituiscono un serbatoio della saggezza popolare di tutti i tempi, elemento importante di quella che si chiama "letteratura popolare", e sono perciò oggetto di attenzione da parte degli studiosi di folklore e tradizioni popolario.

Sotto tutte le latitudini, le fiabe si ripetono secondo uino schema che rispecchia gli aspetti e le tappe fondamentali della vita dell'uomo, sia pure in chiave magica e favolosa. Ritroviamo infatti nelle fiabe: la nascita, che colloca l'individuo in condizioni favorevoli o sfavorevoli, il distacco dalla casa paterna e le prove da superare per diventare maturo, la divisione degli esseri viventi in ricchi e poveri che non ne altera la sostanziale uguaglianza, la persecuzione di un innocente, l'amore, il condizionamento di forze complesse, interne ede esterne, e lo sforzo per liberarsene da soli o con l'aiuto degli altri, la scoperta che la virtù e la bellezza autentiche possono talora essere nascoste sotto un'apparenza umile e sgradevole. A differenza di quanto accade nella realtà, nel mondo fiabesco, però, il bene è sempre ricompensato, i cattivi primi o poi vengono puniti, il male è sconfitto.

La particolare "verità della fiaba, la sua capacità di rappresentare il comune destino degli uomini spiegano perchè, pur nell'appartenente verità dei personaggi, delle situazioni, dei luoghi d'origine, le fiabe siano costruite secondo uno schema sempre uguale.

Vengono chiamate "funzioni" le azioni compiute dai personaggi e definite in base al significato che hanno per lo sviluppo del racconto. E' sufficiente soffermarsi sullo schema base che si ripete pressochè identico in tutte le narrazioni fiabesce:
  • La storia comincia con la descrizione della situazione iniziale;
  • l'eroe (o l'eroina) si allontana da casa per un viaggio, per cercare i mezzi di sostentamento, per adempire ad un incarico, ecc.;
  • Inizia una serie di peregrinazioni durante le quali hanno luogo le più svariate avventure;
  • L'eroe incontra un'antagonista, rappresentato da una persona "cattiva", che per contrastarlo riccorre all'inganno, alla magia, alla violenza;
  • L'eroe cade nel tranelllo preparato dall'antagonista;
  • L'eroe si trova nella necessità di superare una prova;
  • L'eroe fruisce dell'aiuto di uno o più personaggi, un aiutante o più aiutanti;
  • Superato l'ostacolo l'eroe ritorna a casa in una situazione migliore di quella iniziale;
  • L'antagonista, il cattivo è punito;
  • La vicenda in molte fiabe si conclude con le nozze regali dell'eroe.

I "motivi" sono dei temi ricorenti che fanno parte del mondo fiabesco e danno vita a innumerevoli trame. Tra i motivi più frequenti ricordiamo: la matrigna cattiva, l'animale parlante, tre sorelle o tre fratelli, di cui l'ultimo è buono e gli altri sono malvagi, la casetta nel bosco, gli stivali magici, la bacchetta magica, l'intervento di un personaggio riconoscente, la trasformazione di un essere umano in animale, ecc...

Il linguaggio che viene usato nelle fiabe è usualmente semplice, caratterizzato da frasi e periodi tendenzialmenti brevi, dalla prevalenza della coordinazione sulla subordinazione e dei discordi diretti su quelli indiretti. Il lessico è quotidiano e riflettere esperienze e modi di dire propi del mondo popolare, anche se nelle fiabe raccolte e riscritte da persone di cultura appaiono qua e là parole un pò più ricercate.

Come abbiamo detto, le fiabe sono narrazioni anonimetramandati oralmente da narratori popolari; non sono mancati, però, scrittori, che, attingendo a questo patrimonio, gli hanno dato forma letteraria, arricchendo e variando le versioni originarie. E' il caso di Charles Perrault, dei fratelli Grimm, di Hans Christian Andersen; i quali, affidandole alla scrittura, hanno reso famose le storia di Cappuccetto Rosso, di Biancaneve, di Cenerentola, della Sineretta, e inumerevoli altre.

giovedì 11 novembre 2010

11 novembre
La sera dell’11 novembre, e per gli altri 3 giorni successivi è tradizione mangiare le castagne
La castagna in acqua cotta prende il nome di ballotta,
arrostita e profumata prende il nome di bruciata

Antichi sapori di festa :

Ballotte:


Castagne, pizzico di sale, acqua, semi di finocchio, foglia di alloro.

Fatele bollire per 30 – 40 minuti. Nell’aria si sprigionerà un aroma particolare, di festa e di gioia. Sarà uno dei primi sapori che annunciano il Natale ormai vicino…


Caldarroste:
Castagne, Barbeque, una padella traforata.

Ricordiamo che non avremo mai sul fornello di casa la fragranza delle caldarroste fatte alla brace del venditore all’angolo della strada, salvo usare il nostro caminetto a legna o di una brace al barbeque.
Procuriamoci delle castagne buone, scegliendole una ad una per accertarci che siano senza alcuna macchia o buco, poi con un coltellino affilato “castriamo” i marroni, intaccando la superficie e praticando un taglio di circa 4 cm di lunghezza fino alla polpa.
Usiamo la padella bucherellata per cuocerle, usando il fornello a gas frapponiamo una piastra di ferro alla padella per non bruciarle. Mettiamo tutte le castagne nella padella e facciamo arrostire a fuoco lento girandole spesso. A cottura avvenuta togliamole dalla padella e mettiamole in un panno caldo.


Curiosità: Per ottenere buone caldarroste bagniamo un sacchetto di carta e ricopriamo le castagne in cottura facendo attenzione che non si asciughi.Durante la cottura bagniamolo di frequente così permetterà alle caldarroste di cuocere mantenendo la loro umidità, rimanendo più morbide e più saporite. Oppure: Proviamo a bagnare le castagne con il vino prima del termine della cottura, oppure saliamole leggermente. Potremo gustarle con un sapore ancor più caratteristico e campagnolo!


Vi voglio raccontare la leggenda che tutte le sere dell’11 Novembre la nonna raccontava.Tutti conoscono la storia di San Martino che spezzò in due il mantello per donarlo ad un mendicante che in verità era poi il Signore, ma forse pochi conoscono quella che si ricordava tanto tempo fa nella notte tra il 10 e l’11 Novembre, soprattutto nelle campagne, a grandi e piccini riuniti nella stalla, riscaldati dal fiato delle mucche. Un anziano sedeva sulla sedia, raccoglieva tutti d’intorno e cominciava a raccontare, mentre fuori faceva freddo, c’era nebbia e tirava forte forte il vento... Man mano che il racconto si faceva più terrificante, ci si stringeva stretti stretti e si ascoltava col cuore in gola…

C’era una volta una povera famiglia di contadini che non riusciva ad avere un bambino. Erano talmente stanchi e disperati che avrebbero accettato di tutto : anche far patto col diavolo. Infatti una notte l’uomo sognò un signore tutto vestito di nero, ma molto elegante che disse : Concederò a tua moglie di avere un bambino, ma la notte che compirà diciott’anni verrò a prenderlo e sarà mio. Al mattino il pover’uomo raccontò tutto alla moglie e con tanta tristezza decisero di accettare.. Passarono gli anni e il bimbo divenne grande: era la consolazione e il bene della famiglia. I due anziani genitori quasi non ricordavano l’accordo, ma l’11 novembre quando il ragazzo doveva compiere proprio i diciott’anni furono presi dalla paura. Fuori era freddo, ululava il vento e c’era tanta neve: si chiusero in casa, sbarrarono tutte le finestre e spensero le candele. Ad un certo punto sentirono bussare alla porta e una voce gentile disse : Vi prego, ho tanto freddo... Fatemi entrare! Sono un povero viandante, non vi disturberò. Loro però non aprirono. Il viandante bussò 3 volte, finchè la terza volta mossi a compassione aprirono e videro entrare un vecchietto magro magro e tutto rattrappito, coperto da un tabarro (mantello) lungo lungo… Si mise vicino al fuoco del caminetto seduto sulla sedia, sorrise, ringraziò dell’ospitalità e cominciò a riposare. Le ore passarono lente lente e giunse mezzanotte… Si sentirono tre colpi fortissimi sul tetto: “Bum…Bum…Bum!!” e dopo uno spaventoso silenzio una voce cupa e cavernosa domandò :
"Chi è?"
Il viandante rispose :
"Fuori di Dio non c'è nessuno
Il sole e la luna
I tri Re Magi

I Quattro Evangelisti
Le Cinque le piaghe del Signore
I dolori della Madonna
L’Arca di Noè
Le nove Corti Angeliche
I dieci comandamenti

Le undici verginelle
I dodici Apostoli

E qui calò ancora il silenzio…
Poi la voce del viandante continuò, forte e sicura:
"Tredici non c’è, non c’è mai stato, tu eri all’inferno , ci puoi tornare".
Altri minuti di pauroso silenzio e la voce tenebrosa esclamò :
San Martino San Martinino,
non si può fare un piccolo bucato che ci metti il tuo fazzolettino!!
Seguirono altri tre colpi fortissimi sul tetto :“Bum…Bum…Bum.. !!” E tutto tornò alla calma.
La famigliola guardò vicino al focolare e non vide più nessuno : la sedia era vuota ed il viandante sparito. Fuori il vento s’era calmato e non faceva più tanto freddo... Il viandante era S. Martino: il Signore l’aveva mandato per salvarli. Nei tre giorni successivi anche il cielo festeggiò l’evento: il sole tornò a splendere e a riscaldare l’aria anche se era quasi invernoE da allora ogni anno, e per ogni anno a venire l’estate del Santo tornerà, per ricordare a tutti ancora una volta il suo generoso gesto: ecco perché “l’estate di San Martino dura tre giorni e un pochino.



Tanti anni fa, l’11 Novembre scadeva l’anno di lavoro dei fittavoli: era il giorno del trasloco. Dovevano caricare tutto ciò che avevano sul carro, in genere tirato non da 2 mucche (che in pochi possedevano) ma dai componenti stessi la famiglia… cercare alloggio e nuovo padrone…Ecco perchè nel linguaggio comune fare sammartino equivale a trasloccare.



San Martino
ogni mosto diventa vino


Nella mia mente tale giorno mi è sempre rimasto impresso perchè identificato come “l’estate di San Martino”: i miei genitori me lo ripetono ogni anno (…oggi è l’estate di San Martino…ogni mosto si fa vino) tramandandomi quelle tradizioni e detti popolari che oggi, ahimé, sono un po’ andati perduti. Il sole di queste giornate mi induce ad effettuare una breve ricerca sul significato di tale detto. Ecco cosa è emerso:
San Martino aveva appena dodici anni quando, contro la volontà dei suoi genitori, che credevano negli dei di Roma, si fece battezzare e divenne cristiano. La legge romana lo obbligava a entrare nell’ esercito come suo padre, così, malgrado fosse un tipo molto pacifico, dovette diventare soldato. Su di lui si raccontano molte leggende. La più famosa è questa:
Un giorno d’autunno, mentre usciva da una delle porte della città francese di Amiens, dove viveva, vide un povero vecchio, mezzo nudo e tremante per il freddo. Martino si impietosì e sguainò la spada, tagliò il suo bel mantello di lana e ne diede la metà al povero. Immediatamente il sole si mise a scaldare come in estate. Per questo, si chiama l’estate di San Martino quel periodo agli inizi di novembre in cui spesso accade che la temperatura si faccia più mite.

L’estate di san Martino è il nome con cui viene indicato un eventuale periodo autunnale in cui, dopo le prime gelate, si verificano condizioni climatiche di bel tempo e relativo tepore. Nell’emisfero australe il fenomeno si osserva eventualmente in tardo aprile – inizio maggio. Nei paesi anglosassoni viene chiamata Indian summer.
Tradizionalmente durante questi giorni si aprono le botti per il primo assaggio del vino novello, che solitamente viene abbinato alle prime castagne.

Detti popolari
L’estate di San Martino, tre giorni e un pocolino.
A San Martino, si veste il grande e il piccino.
Infatti, se non è oggi sarà domani, la neve è vicina.
Da San Martino l’inverno è in cammino
Per San Martino ogni mosto è vino
Buon San Martino

sabato 23 ottobre 2010

Siamo quasi a novembre e dalle mie parti comincia a fare freddo. Ormai non ci sono più da anni gli spaventosi freddi di quando ero piccola, ma quest'anno con questo autunno non autunno è tutto più strano, e pensando mi è venuta in mente Cicely Mary Barker, l'ideatrice delle fate dei fiori. Cicely impiegò i bambini della scuola materna di sua sorella come modelli per le fate e disegnò personalmente i loro costumi. Nella foto è rappresentata la fata dei narcisi, che identifica, a mio avviso, la stagione in corso. Le fate dei fiori sono creaturine alate che abitano in centinaia i giardini,i boschi,le radure; ad ognuna di loro è associata una pianta o albero e le fatine vivono in essa e hanno il compito di prendersene cura, per farla crescere in salute,dato che la vita della pianta è direttamente proporzionale a quella della fata. Se si vuole vedere una fata bisogna armarsi di pazienza e attenzione, perchè non si vogliono far vedere. Il momento migliore per vedere una fata è il crepuscolo, l'alba, il mezzogiorno e la mezzanotte.

"Quando il primo bambino rise per la prima volta,
la sua risata si infranse in mille e mille piccoli pezzi,
che si dispersero scintillando per tutto il mondo:
così nacquero le fate".
(da Peter Pan di James M.Barrie)




Il termine "fata" deriva dal plurale latino di fatum, destino. Le fate sono esseri soprannaturali, protagoniste di vicende fantastiche, la cui caratteristica è quella di avere un aspetto umano accompagnato da poteri sovraumani magici: l'invisibilità, la possibilità di assumere aspetti diversi, predire il futuro, aiutare gli innocenti e riparare ai torti. Oltre all'aspetto, le fate possono avere anche l'indole simile a quella degli uomini: a volte, infatti, possono essere maligne e vendicative...

Alcuni sostengono che le fate siano angeli caduti dal cielo, altri suggeriscono che siano le anime dei bambini non battezzati. Ogni tradizione ha stabilito un'origine particolare e ha attribuito a queste entità, frutto delle credenze popolari, un nome e un potere particolare. La certezza che abbiamo è che il mondo delle fate è antichissimo ed è esistito sotto forme varie in molte parti del mondo. Queste creature sono accompagnate da una serie di altri esseri dai poteri soprannaturali (elfi, folletti...), che con loro vivono in un limbo di mistero. Il Regno delle fate è sfuggente agli occhi, ma non per questo è invisibile: a volte è sopra la linea dell'orizzonte, altre sotto i nostri piedi... Può svelarsi senza preavviso in qualunque luogo e sparire con la stessa rapidità. In genere sono i puri di cuore o i bambini a scorgerlo con maggiore facilità. Secondo la credenza più diffusa le fate sono soprannaturali ma non immortali; c'è un modo però per salvarle dalla fine credendo in loro e battendo le mani per dimostrarlo.



Girovagando fra i vari blog ho trovato queste informazioni, e anche una bellissima favola. Voglio farvela conoscere, perchè le favole non sono solo adatte ai bambini, ma soprattutto anche a noi grandi. L'ho pescata a questo indirizzo:

http://http//www.readme.it/libri/Fiabe/Il%20mondo%20dei%20sogni.shtml

Il mondo dei sogni

Questa che vedete è la Valle del Sorriso, un posto lontano lontano ove vivono creature fantastiche. In questa Valle nascono i sogni che popolano le notti di tutti i bambini del mondo. Sogni allegri o paurosi, colorati o grigi di tristezza. Sogni rumorosi o colmi di musica. I sogni di ogni bambino, anche i tuoi. Vedete gli alberi, quegli alberi alti e scuri? Sono gli Alberi di Stoffa, ed hanno delle finestrelle cucite tra i rami. Sembrano le toppe che la mamma cuce qualche volta sui pantaloni, le vedete? Attraverso quelle finestrelle passano i Volazzurri, per portare, ogni notte, a tutti i bimbi, i loro sogni. Ma forse è meglio che vi spieghi chi sono i Volazzurri. Sono creaturine con le ali colorate e luminose, ali grandi e seriche; di giorno si nascondono tra i rami degli Alberi di Stoffa, e di notte ne volano via, silenziosi. Ci sono quattro tipi di Volazzurri: quelli con quattro ali color del sole e due campanellini appesi alle antenne; quelli luminosi, con otto ali lunghe e sottili, color dell'arcobaleno; e ci sono i Volazzurri del Silenzio, che portano negli occhi dei bambini sogni in cui tutto è pace, e silenzio; e infine ci sono i Volazzurri Ventagli, fatti di fiocchi rubati alle nuvole, soffici e bianche, che si muovono lentamente, portati dal vento, e distribuiscono i sogni del mattino. Ma andiamo avanti con la scoperta di questo mondo tanto strano. Scommetto che vi state chiedendo: "Ma come nascono i sogni che i Volazzurri portano ai bambini del mondo?". Ora ve lo spiego. Tra l'erba della Valle del Sorriso, in un angolo rigoglioso di grandi foglie e di fiori, vi sono molti funghetti bianchi e rossi, funghi piccoli piccoli, che quasi non si vedono. Quello è il Villaggio dei Paciocchi, i più buffi personaggi che io conosca.. Sembra quasi che siano stati fatti per scherzo, incominciati e mai terminati. E forse è proprio così. Infatti, i Paciocchi non sono come noi, ora buoni ora dispettosi, magari un po' golosi, e capricciosi, ma anche allegri e gentili, arrabbiati o sorridenti. I Paciocchi possono avere solo una di queste caratteristiche. E così, c'è il Paciocco Sospettoso, che si guarda intorno preoccupatissimo, e per questo ha tanti occhietti, due su ogni testina pelata; e c'è il Paciocco Indeciso, che non sa mai scegliere, e dove andare, e per questo si allunga un po' di qua e un po' di là, senza concludere nulla. E poi ci sono il Paciocco Goloso, il Paciocco Dispettoso, il Paciocco Saggio, e quello Chiacchierone, e quello Allegro, e tanti, tanti altri. Ma che cosa fanno i Paciocchi nella Valle del Sorriso? Sono i creatori, gli inventori dei sogni: ogni giorno, i Paciocchi scendono al Lago Magico, e con il fango delle rive costruiscono case e castelli, animali e bambini, mostriciattoli e dolci, giocattoli e montagne. Tutti piccoli piccoli, che li potresti tenere sulla punta delle dita. Certo però questi sogni sono grigi, e spenti, niente affatto belli. Ma in una grossa zucca tutta colorata, con il camino in pietra e i gradini di legno, chiamata La Zucca dal Colore profumato, vivono delle creature gentili, abilissime pittrici che danno ai sogni di fango il colore del grano maturo, i riflessi del cielo quando il sole va a tramontare, e -magicamente- il profumo del mare, delle fragole, della menta… Sono creature molto dolci, e belle, le nostre amiche pittrici. Sono le Zuccotte colorate, e hanno visetti color dell'oro, e i piedini a forma di stella, e i sogni, dalla loro mani leggere come foglie di seta escono trasformati. Ma ci manca ancora qualcosa di molto importante, perché i sogni siano pronti ad incontrare i bambini; la vita. Sulla Collina Verde sorge il Castello degli Spiriti; là vivono gli Spiriti della Saggezza, dell'Allegria, della Fantasia, della Bontà. Non li possiamo vedere, perché sono come soffi di vento, tiepido e dolce, che si posa sui sogni di fango colorato e li fa vibrare di vita. I sogni ora sono pronti; hanno nei loro piccoli cuori la gioia, l'allegria e la tenerezza dei sogni che affollano le vostre notti. Allora i Volazzurri escono dagli Alberi di Stoffa, si caricano sulla schiena i sogni e -attraverso le finestrelle- entrano nel nostro mondo. Tutto questo è molto bello. Allora, come mai talora, nel buio della notte, qualche bambino si sveglia piangendo, perché i sogni lo hanno spaventato? C'erano mostri, e uomini cattivi con lunghi coltelli, e temporali con fulmini e tuoni dal cielo nero. Questi non sono sogni, ma incubi… Vi siete mai chiesti perché questi sogni terribili vi tormentano? Torniamo per un attimo nella Valle del Sorriso; vedete quel vecchio grosso tronco d'albero grigio, vuoto dentro come una scura caverna, e pieno di scricchiolii e brividi? Guardatelo bene ma non avvicinatevi. In quell'albero morto oramai da tanti anni vivono gli Incubini. Sono folletti, gnomi, e certe bruttissime creature, che si divertono un mondo a spaventare la gente. Ci sono gli Incubini dal Lungo pelo, con la voce gracchiante dei corvi, e Incubini Folletti, con un lunghissimo cappello a punta, con barba e baffi, che indossano una camiciona color fumo, e Incubini Ranocchi, con la cuffia da notte a strisce, che tengono sempre in mano un osso. Tutti questi Incubini, che di giorno si nascondono nel Tronco dei Brividi, al tramonto escono, silenziosi e attenti, e si appostano vicino agli Alberi della Stoffa. Quando i Volazzurri passano di lì, con il loro carico di sogni, per andare nel mondo dei bambini, gli Incubini cercano di saltare sulla loro schiena, di nascosto; poiché però sono molto maldestri, riescono a partire con i Volazzurri solo raramente. Ed è una fortuna. Perché, se riescono ad avvicinarsi al sogno di un bambino, lo trasformano in un incubo. I coniglietti diventano mostriciattoli pelosi dai lunghi denti aguzzi, gli alberi sembrano fantasmi, le stelle gli occhi brillanti di spiriti cattivi. Ogni cosa bella cui gli Spiriti del Castello hanno dato vita si distrugge, e allora i bambini si svegliano piangendo. Ma questo, per fortuna, succede poche volte, proprio poche. Perciò, non dovete spaventarvi. Ed ogni sera, bambini, quando andate a letto, e al buio attendete il sonno, e con il sonno i sogni, pensate ai Paciocchi, e alle Zuccotte colorati, ai Volazzurri con le campanelle ed agli Spiriti del Castello. Pensate e questa valle sorridente, e i vostri sogni saranno certamente bellissimi.

sabato 9 ottobre 2010

“Le cose buone nella vita o sono illegali, o sono immortali o fanno ingrassare”
Arthur Bloch

mi fa ricordare il motto di una mia vecchia vicina di casa, classe 1920, salita al cielo all’alba del terzo millennio :
“…Quel che non ammazza ingrassa..”
Mutatecchia
L’ autrice di questo blog, simpatica e diversamente magra, è amante della buona tavola a dispetto delle solite esili fattucchiere che propone la TV. Viso solare che sprizza simpatia ovunque guardi, è svelta e chiara nelle spiegazioni, cuoca perfetta quando non ha il fornello troppo vissuto e affollato, quando non le cadono per terra coltello, forchetta, verdure o ammucchia come può avanzi di cucina sul tavolo : capita a tutti nella nostra intimità culinaria ma difficilmente lo confessiamo ad altri . Non è eccessivamente precisa come lo sono invece certi cuochi inamidati e rigidi, cultori di mini porzioni fantasiose di alimenti combinati con estro discutibile, in sfondi sfuocati e d’effetto.C’è da comprare il libro anche senza sapere cosa ci sia scritto, fosse anche la spiegazione dettagliata di un uovo al tegamino con spruzzata di prezzemolo e olio d’oliva.
Le ricette ed i suoi commenti, ricordano che l’infanzia della mia generazione di gente comune è fatta di eterne pastasciutte con contorno di niente subito e il resto poco per volta, brodini di dado Star con la raccolta punti obbligatoria. La carne alla domenica c’era quando andava bene, la besciamella noi l’abbiamo scoperta da grandi, Arlecchino e Fagiolino eternamente affamati di cose buone, sono sempre stati molto vicini e solidali ai nostri cuori. Non sono indicazioni da “ristorante alla moda”, ma semplici, un po’ invadenti e senza inutili pretese d’originalità : piatti da sperimentare subito, veloci, somma d’ ingredienti tradizionali (forse con un po’ troppo prezzemolo aggiunto…) , solari, quelli che probabilmente abusandone fanno l’occhiolino al fegato e alla digestione, ma che sprigionano il profumo di cose buone, come soltanto cipolla, aglio e peperone rosolati nell’ olio possono fare.
Il cibo non si deve condurre soltanto alla bocca, bisogna sentirlo anche nel cuore, perchè cucinare è sorridere, è donare la dolcezza e il piccante racchiusi nell’anima a chi vogliamo bene. Agli altri un po’ meno…..
Se proprio ci tocca… !!
Mi veniva da aggiungere, prima di conoscere alcuni “trucchetti” accanto ai fornelli……
E qualche volta tocca a tutti, ma così restiamo anche più sani ….

Siamo tutti convinti che i condimenti esaltano il gusto dei cibi : sarà proprio vero sino in fondo ?
Se è vero che la salute passa dallo stomaco, basta saper distinguere tra il troppo e il troppo poco. Dopo queste “perle di saggezza”, bisogna purtroppo riconoscere che mangiare oggi è una lotta contro il tempo, contro le tentazioni, contro i prezzi. Se guardo le calorie degli alimenti cucinati perdo la gioia di vivere : il “peccato di gola” non mi interessa se nel complesso “mangio sano” ma non disdegno gli alimenti già pronti nelle magiche bustarelle se ho frigorifero desolatamente vuoto.Piena di buona volontà decido sempre prima (o quasi) cosa acquistare, decido come e dove cuocere. Il mangiare e il bere devono rimanere un sano piacere e una delle gioie della vita. Detto questo devo precisare che non ho mai peccato con sostanze stupefacenti o alcolici : soltanto qualche cioccolata in tazza e qualche bicchiere (ai pasti e alle feste “comandate” di vini bianchi da meditazione, preferibilmente dolce e frizzante. Il peso corporeo sotto controllo , una dieta sana ed equilibrata sono i segreti per vivere bene : però a me piace mangiare bene. Quello che più irrita il mio sistema elettrico e le sfaccettature della mia personalità è che alcune persone mangiano come porcellini e non ingrassano : io poverina per qualche cosina in più accumulo chili alla velocità della luce e metabolizzo anche l’aria che respiro. Con il colesterolo e la glicemia che “mi tengono d’occhio”, cerco di consolarmi pensando che in caso di carestia ho riserve (non) nascoste a tempo indeterminato.
Un valido aiuto nelle mie preparazioni, l'ho avuto da un antichissimo libro famiglia che parla di dolci. Un residuo bellico su come preparare i più antichi dolci della tradizione italiana. Io e mio fratello le abbiamo sperimentate tutte e mesi fa per curiosità abbiamo tenuto il conto degli anni della nostra "Bibbia culinaria" divisa in vari settori.

Mio fratello lo acquistò 25 anni fà, con rate di £ 1.890 per 24 mesi. Insomma, costo £ 45.000. A quei tempi tale cifra era esorbitante per un libro. Ora è diventato oggetto di culto e di contesa della mia famiglia. Lo uso con molta parsimonia, ma i segni del tempo si vedono lo stesso!


Copertina de "Il grande libro dei dolci"

Prima pagina

Seconda pagina

Terza pagina

Introduzione


Frutta caramellata, marmellate


Creme, salse e glasse

Pasta briseè e frolla


Pasta sfoglia


Pasta lievitata


Pasta soffice


Dolci tradizionali

Dolci al cucchiaio


Dolci di frutta

Dolci fritti



Sorbetti e granite



Gelati


Piccola pasticceria