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lunedì 20 febbraio 2012

Io e l'endometriosi


Eccomi quà. Di ritorno da questa avventura. Molti sono stati gli scalini in salita, e in mezzo a piccole amarezze e lacrime per sdrammatizzare gli eventi accaduti, sono quì, a raccontare quest'avventura. Questa fantastica avventura, fatta anch'essa d'amore,  se pur lastricata di sofferenza.
Come potrei rosicare la vita dopo tutto quello che mi è successo?
Ora la voglio vivere a pieno, cogliendo le opportunità che mi offre, che qualcuno lassù mi ha voluto offrire.
Raccontare tutta la storia sarebbe come rivivere il dolore. Ma cominciamo a parlare:
cos'è l'endometriosi?
L’endometriosi è una malattia spesso progressiva, dove alcune cellule della mucosa uterina s’impiantano al di fuori dell’utero. I focolai endometriosici si trovano soprattutto nel basso ventre (ovaie, intestino o vescica), più raramente in altri organi (cute, polmoni) dove vengono stimolati dagli ormoni che provocano il ciclo mestruale. Come la mucosa uterina – denominata en...dometrio – i focolai endometriosici ciclicamente crescono e sanguinano.
 La causa dello sviluppo dell’endometriosi, non è stata ancora chiarita. Emorragie mestruali prolungate o cicli abbreviati ne aumentano il rischio. Ma anche fattori genetici e sostanze inquinanti, come ad es. la diossina, aumentano la predisposizione all’endometriosi.
 Una delle cause nella formazione dell’endometriosi è la mestruazione retrograda, che vuol dire un flusso parziale del sangue mestruale attraverso le tube nella cavità addominale. Questo sangue contiene delle cellule vitali della mucosa uterina. Se cellule possiedono una resistenza particolare e la donna presenta una certa debolezza della difesa organica, possono sopravvivere nell’addome, aderire al peritoneo e perfino crescervi.
 I medici invitano tutte le Donne ad effettuare una visita ginecologica ogni sei mesi e il pap-test per la prevenzione dell'endometriosi. Ricordate: il pap-test e la colposcopia è GRATUITA!!!
Quando il medico mi ha detto di avere questa malattia l'unica risposta che gli ho saputo dire è stato: "Non lo so dottore... so solo che sto male".
L'endometriosi, arrivata all'ultimo stadio nel mio addome, mi ha reso invalida per sei mesi. E dire che per dodici anni ne ho sofferto e medici incompetenti mi hanno detto che era solo stress. Le continue emorragie, i dolori perenni, gli antibiotici cambiati ogni dieci giorni che provocavano sonnolenza e il continuo inspiegabile malessere, mi portavano ad uno stato morboso della malattia, di stanchezza.
Vorrei che dottori non trascurassero tutte le ipotesi di diagnosi possibili per noi donne.
Noi donne siamo il fulcro dell'umanità. Siamo le uniche creature che riescono a dare vita ad un altro essere umano. Perchè toglierci questa benedizione?
Eppure sono quì, ne parlo serenamente. Vorrei che voi capiate questo mio stato di malessere, che non so spiegare, che io stessa non so comprendere ancora.
Io non avrò mai un figlio, per via di questa malattia che riduce notevolmente il nostro dono della procreazione. Io non sognerò mai un bambino, mi è vietato farlo, mi è vietato apprendere quella curiosità e di farmi le stupide domande: sarà biondo, sarà bruno, assomiglierà al padre...? So già per certa che non posso illudermi a questa realtà.
Da un paio di mesi lavoro  per concretizzare un'idea che traducesse visivamente quello che noi donne con l'endometriosi proviamo.
Ho sempre creduto nella potenza delle immagini .
Cosi' ho raccolto sguardi sofferenti, corpi dolenti, frammenti e schegge di vita... Sensazioni e sentimenti degli occhi di molte donne ...
Donne travolte ogni giorno da doglie senza parto... Donne malate di Endometriosi.
Non dimentichero' mai quegli sguardi ,sguardi che violentano il cuore e l'anima...
La raccolta di foto si e' trasformata giorno dopo giorno quanto volevo esprimere e soprattutto il mondo di sentimenti che volevo far giungere a voi intatto nella sua essenza.
Il mio lavoro vuole essere una campagna di informazione affinche' attraverso una serie di messaggi diffusi dai mass-media si riesca a smuovere le coscienze di chi ha il potere, politico o di opinione .
In particolare uno strumento utile soprattutto per i nostri mariti e i nostri compagni che spesso, troppo spesso, a causa del nostro dolore, sono vittime inconsapevoli dell'endometriosi.
Lux

martedì 31 gennaio 2012

Ti amo

"Ti amo perchè hai un’anima chiara, il sorriso negli occhi e la festa nel cuore.
L’amore è un’emozione che nasce da qualcosa di ignoto che entra all’improvviso nella nostra vita.
E’ una felicità che fa sorridere il cuore e ci dà l’illusione di non essere più soli.
E’ un sentimento capace di infonderci gioia, energia, di evocare l’immagine del cielo e della terra.
L’amore è una risorsa alla quale possiamo attingere quando ci sentiamo insicuri, un dono prezioso carico di emozioni che ci fanno apparire la persona amata come un essere superiore, avvolto da una luce particolare.
E’ la voglia di spartire la propria vita, le emozioni, le preoccupazioni con chi sa ascoltarci.
Spesso porta con se anche la sofferenza. Temiamo che la persona, di cui amiamo il cuore, scompaia all’improvviso senza darci la possibilità di renderla felice.
Nelle parole che seguono c’è il senso dei sentimenti, delle impressioni, sensazioni, passioni e desideri. Il vissuto ha radici profonde, ha storie importanti da raccontare, ha sofferenze difficili da dimenticare, ma ha pure tutta la vitalità di un sentimento unico, tutta la felicità di uno spirito libero, la limpidezza di un’anima chiara. Tutto ciò che si ha dentro.
... sento che dentro di me si sta sciogliendo quel nodo che mi opprime ...
 In questa libertà provo invece un incontenibile desiderio di fusione con l’uomo che amo. Vorrei perdermi tra le sue braccia. Da tempo pensavo a questo giorno, a come ci saremmo amati. Ora, finalmente, vicina a lui, provo desiderio, passione, tenerezza. L’uomo che amo sa suscitare in me emozioni profonde. Il suo sguardo, le sue mani, la sua pelle risvegliano in me tante sensazioni. Non riesco a trattenermi dall’accarezzarlo, dal dirgli quanto lo amo e che mai smetterò di amarlo.
… io mi sento in balia dell’amore ... Mentre lo bacio, lo accarezzo dolcemente senza mai smettere, sento il suo piacere fondersi con il mio e comincio a piangere in silenzio tanto sono felice. Avverto momenti di grande dolcezza, mi pare che i nostri cuori si tocchino, quasi li sento battere. Provo una gioia immensa, vorrei restare per sempre con lui, morire insieme con le nostre anime piene di desiderio.
All’inizio ho avuto paura di affrontare l'amore... ora, nulla più si frappone tra me ed il mondo dei desideri. Solo per l’uomo che amo ho superato un importante passaggio della mia vita ed ora un mondo di emozioni si sta impadronendo di me. Questo amore,  mi ha aperto nuove prospettive di vita. Sono felice di aver creduto nella spinta interiore che mi suggeriva di vivere questo amore e di iniziare così un cammino diverso da quello che avevo percorso prima d’allora.”

domenica 29 gennaio 2012

Come le mele

Le donne sono come le mele su un albero: le migliori sono in cima. La maggior parte degli uomini non vogliono arrivare alle migliori perchè hanno paura di cadere e farsi male, così preferiscono prendere quelle che sono cadute a terra e che, pur non essendo così buone, sono facili da raggiungere. A volte le mele che stanno sulla cima dell’albero pensano che ci sia qualcosa che non va in loro, quando in realtà sono semplicemente “meravigliose”, devono solo essere pazienti e aspettare che l’uomo giusto arrivi, colui che sia cosi coraggioso da arrampicarsi fino alla cima dell’albero. Non devono cadere per essere raggiunte: chi avrà bisogno di loro e le ama farà di tutto per raggiungerle… 

lunedì 16 gennaio 2012

Luoghi Manzoniani

Vista del Lago a Lecco
Alessandro Manzoni
Il brano più celebre della letteratura italiana di Alessandro Manzoni 'I Promessi Sposi': "Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti..."(...). Nasce propio dai minuziosi ricordi visivi del paesaggio che dalla villa del Caleotto, sua dimora d'infanzia e delle vacanze estive, si svolge il centro del romanzo.
Con questo delizioso ricordo voglio cominciare la mia avventura fra le stradine di Lecco, solcate da monti e ruscelli che attraversano la città. Una metropoli nuova, niente da invidiare ad altre grandi città che la circondano (Milano, Como, Bergamo...). Il Manzoni ne era profondamente rapito dalla bellezza di questi luoghi. Bellezza che col tempo è mutata dalla tecnologia e dalla ricchezza urbanistica, ma che ha conservato il suo incanto negli occhi dei visitatori. Chi non conosce Lecco non può capire tale trasporto, quello che crea all'immaginazione, rapisce il cuore e gli occhi. Vedendo questo grande paesino accucciato sotto grandi rocce, le montagne che la proteggono e la nascondono, come per conservare la sua bellezza naturale per donare allo straniero una visuale pura e incontaminata dal progresso.
La villa del Caleotto appartenuta alla famiglia Manzoni
Eppure nel 1818 lo scrittore vende la villa del Caleotto e quasi tutte le sue proprietà a Lecco e quì non tornerà mai più.
Ma come ha fatto a staccarsi di tanta grazia agli occhi?
Si sa da sempre che lo scrittore ha bisogno di grandi fonti d'ispirazione per comporre le propie odi, ma pare che Lecco, nel suo cuore ha sempre viaggiato con esso, col suo bagaglio nel cuore.
Gli anni lecchesi di Alessandro Manzoni, i suoi primi venti, costituiscono il periodo della sua vita di cui si conosce di meno: anzi, esclusi pochissimi aneddoti, tutti riferiti da altri e qualche lettera, dei primi anni dello scrittore non è rimasto quasi nulla.
I dati sono talmente labili che si potrebbe perfino dubitare del suo lungo soggiorno a Lecco se non fosse per un tesimone indiscutibile, Manzoni stesso che, nel capitolo iniziale del Fermo e Lucia, la prima stesura del romanzo rimasta a lungo inedita, scrive in proposito:
    "...La giacitura della riviera, i contorni, e le viste lontane, tutto concorre a renderlo
     un paese che chiamerei uno dei più belli del mondo, se avendovi passata gran
     parte dell'infanzia e della puerizia, e le vacanze autunnali della prima giovinezza,
     non riflettessi che è impossibile dare un giudizio spassionato dei paesi a cui sono
     associate le memorie di quegli anni"(...).
L'infanzia, l'adolescenza e le vacanze autunnali, fino ai venti anni, insomma tutto il periodo della vita che ci lega indissolubilmente ad un luogo per sempre, un posto di cui conosciamo ogni cosa, la luce del cielo nelle giornate di vento, il colore del lago d'inverno, i nomi di tutte le montagne:
     "...Cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non
      meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo
      scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul
      pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio"(...).
I promessi sposi
L' "Addio monti sorgenti dalle acque"(...) di Lucia è l'addio di Manzoni ai paesi suoi. Sulla vendita di quella che non era una qualsiasi villa di vacanze ma la casa di famiglia da oltre due secoli sono state fatte le più diverse e contrastanti ipotesi, di natura finanziaria  e persino psicanalitica, ma la verità è più semplice.
Gabbianelle
Piazza del centro, Lecco
Manzoni vende tutte le sue propietà a Lecco per colpa di un'amministratore disonesto. Lascia la casa tanto amata costruita da un trisavolo, il fondatore della potenza del ramo lecchese della famiglia, il primo ad abitare stabilmente al Caleotto, fu Giacomo Maria, che accumulò un ingente patrimonio costituite da fucine, opifici, altiforni per la lavorazione del ferro, diventando il maggiore imprenditore siderurgico del Ducato di Milano. Signorotto potente e prepotente si circondava di Bravi e l'Archivio di Stato di Milano conserva gli atti dei numerosi processi che subì come mandante di numerosi omicidi. Nel 1630 durante la Grande Peste fu accusato di aver indotto dei monatti ad ungere le porte dei suoi concorrenti per propagare la peste. I due monatti furono messi a morte, mentre un'inchiesta del Senato di Milano lo scagionò dalle accuse.
Morì nel 1643, implicato in un ulteriore processo come mandante di un nuovo omicidio. E' probabile che la prima aspirazione dei Promessi Sposi, il romanzo del lontano nipote, derivi propio dalle sue vicende. La produzione siderurgica lecchese era allora, particolarmente importante, anche perchè gli Spagnoli, che governavano il Ducato di Milano, contavano molto sul ferro lecchese per armare i propi eserciti.
Mezzo di trasporto del 1600,
 attribuito all'episodio di Lucia
 che abbandona le terre natie
Nel 1818 il Manzoni delega lo zio, Giulio Beccaria, suo procuratore generale, di vendere tutte le sue propietà a Lecco, la casa in via Morone a Milano, e la villa di Brusuglio, ereditata dalla madre. Cambiamenti repentini e radicali come questo contrassegnano tutta la sua vita e sgorgano all'improvviso, ma si tratta dello sbocco di percorsi interiori. Propio in questi anni egli vive una delle sue più profonde crisi esistenziali, una crisi che, forse, si illude di risolvere tagliando ogni legame col passato e con l'Italia trasferendosi in Francia.
"Quella Francia che" come aveva scritto nel 1810 "non si può abbandonare senza che al ricordo di averla abitata (...) non si mescoli (...) una profonda sensazione d'esilio" (...).
Monumento dedicato ad
Alessandro Manzoni con le scene de
 "I promessi Sposi"
Lecco
E in esilio si sentiva il Manzoni nella Milano del ritorno degli Austriaci, tanto remota e provinciale rispetto all'amata Parigi.
Le trattative su queste ulteriori vendite vanno per le lunghe, Manzoni esce dalla profonda crisi in cui si ritrova, ma, ormai, la vendita della villa del Caleotto è perfezionata e non si può tornare indietro (venduta alla famiglia Scola, che non avendo eredi la donò al Comune di Lecco e ne fece un museo in ricordo dell'illustre compaesano).
Stefano Stampa, il suo figliastro, autore di una documentatissima biografia del patrigno, scrive parlando del finale dei Promessi Sposi: "Egli (Manzoni) sentì fortemente un'invidia mentale verso de' suoi stessi personaggi, se li avvesse fatti vivere felici nel loro delizioso territorio, nel quale egli possedeva quella casa da lui tanto amata. E lì trasportò nel Bergamasco, come Lui da Lecco si era trasportato a Brusuglio".

mercoledì 4 gennaio 2012

La Befana

Un giorno i Re Magi partirono carichi di doni (oro, incenso e mirra) per andare da Gesù. Attraversarono molti paesi guidati da una stella, e in ogni luogo in cui passavano, gli abitanti accorrevano per conoscerli e unirsi a loro.
La leggenda narra che ci fu solamente una vecchia signora che si rifiutò di seguirli nella fredda notte.
Il giorno dopo, pentita, preparò un cesto di doni per il Bambin Gesù e cercò di raggiungere i Re Magi, che però erano già troppo lontani. Per questo la vecchina non vide Gesù Bambino, nè quella volta nè mai.
Da allora ella, nella notte fra il 5 e il 6 gennaio, volando su una scopa con un sacco sulle spalle, passa per le case a portare ai bambini buoni i doni che non ha dato a Gesù. Calandosi dai camini riempie le calze lasciate appese dai bambini. Questi da parte loro, preparano per la buona vecchia, in un piatto, un mandarino o un'arancia e un bicchiere di vino. Il mattino successivo insieme ai regali -caramelle, dolcetti, noci, mandarini e carbone per le marachelle dell'anno- troveranno il pasto consumato e l'impronta della mano della Befana sulla cenere sparsa nel piatto.

martedì 20 dicembre 2011

La posta di Babbo Natale

Si è diffusa nel tempo l'idea che Babbo Natale possa esaudire i desideri dei bambini, portando loro ciò che più desiderano, grazie alle lettere che questi gli scrivono.
Curioso è il fatto che nel 1974 tre impiegati delle poste canadesi di montreal, avendo notato la grande massa di lettere che arrivavano ogni anno per Babbo Natale, decisero di rispondere alle centinaia di bambini, dando vita alla vera e propia posta di Babbo Natale.
L'anno successivo ricevettero ancora più lettere, e poi sempre di più, tanto che nel 1983, le poste canadesi hanno indetto un servizio di posta speciale solo per Santa Claus (Babbo Natale), in cui il codice di avviamento postale è "HOH OHO".

venerdì 16 dicembre 2011

La vera storia di Babbo Natale

Antica illustrazione datata 1881
 di Thomas Nast
che insieme
 a Clemente Clark
 ha contribuito a creare
la moderna immagine di
 Babbo Natale
Il Babbo Natale che oggi tutti conosciamo è vestito con un abito ed un cappello rosso fuoco bordato da una pelliccia bianca che sembra quasi neve, porta i regali a tutti i bambini buoni del mondo con la sua slitta trainata da renne nella notte più magica dell'anno, abita nel Polo Nord, entra dal camino per lasciare i doni sotto l'albero addobbato per l'occasione. Ma qual'è la vera storia di Babbo Natale?
Nel 1931 il disegnatore della Coca-Cola, Huddon Hubbard Sundblom, ispirandosi a una descrizione ideale di un commesso viaggiatore pieno di pacchetti arrivò a disegnare l'attuale immagine di Babbo Natale. Esiste però un antecedente di Babbo Natale in San Nicola di Bari, vescovo di Myra. La leggenda più antica su San Nicola ha subito leggere correzioni per renderla adatta ai bambini, ma così raccontava: un padre, ridotto all disperazione dalla grave situazione nella quale viveva e non avendo la possibilità di assegnare una dote alle tre figlie, decise di farle prostituire. San Nicola prendendo a cuore la situazione delle tre fanciulle, per due notti consecutive lanciò un sacco di monete d'oro all'interno della loro casa. Al terzo giorno trovò le finestre chiuse ed allora calò il sacco dal camino. Intorno ad esso erano stese delle calze che si riempirono di monete d'oro. Grazie a questo, il padre riuscì a dare in moglie una delle tre figlie, allontanandole dal peccato, Nicola era solito fare regali generosi e nell'immaginario comune diventò il "portatore di doni" nella notte del 6 dicembre (San Nicola) e successivamente nella notte di Natale.
Il culto di San Nicola che si era diffuso nel nord Europa, fu poi portato dagli immigrati olandesi in America. Il santo in olandese veniva chiamato "Sinter Klass" ma negli Stati Uniti si affermò come Santa Klaus.
Con il trascorrere del tempo il suo aspetto mutò, il cappello vescovile divenne un cappuccio a punta, l'abito pur rimanendo rosso si trasformò in giacca e pantaloni orlati di pelliccia bianca, mantenne la folta barba bianca ma ingrassò non poco, infine dall'America tornò in Europa trasformato nel Babbo Natale sorridente e instancabile nel distribuire i regali, propio come San Nicola di cui mantiene lo spirito e la capacità di donare.

martedì 13 dicembre 2011

Santa Lucia

In alcune città d'Italia esiste una tradizione legata ai "doni di Santa Lucia" e il 13 dicembre è una ricorrenza molto attesa dai bambini. Secondo la tradizione, la bella fanciulla siciliana fu accecata e propio per questo è considerata e festeggiata come la santa della luce. La notte dell'attesa sembra ai bambini interminabile ed è famoso il proverbio: "la notte di Santa Lucia è la più lunga che ci sia". nella fantasia dei più piccoli, favorita dai racconti degli adulti, Santa Lucia arriva dal cielo, su un carretto pieno di doni, trainato da un asinello. Perciò mettono sulle porte di case fieno e latte per l'asinello e biscotti per la santa. Spesso nei giorni che precedono la ricorrenza qualcuno, per rendere più suggestiva l'attesa, passa nelle strade suonando un campanello. I bambini, preoccupati, si nascondono perchè, secondo la leggenda, non possono vedere la santa, che potrebbe gettare nei loro occhi la cenere.

sabato 10 dicembre 2011

Il presepio

Dobbiamo il "nostro" presepe attuale a San Francesco d'Assisi, che nel 1224 decise di creare la prima Natività come era veramente descritta nella Bibbia. Egli amava il Signore con tutto il suo essere e voleva ricordare agli uomini la nascita di Gesù nella povertà e nei disagi.
Il frate assistette nel 1222 a Betlemme alle funzioni liturgiche della sua nascita. Ne rimase talmente colpito che, tornando in Italia, chiese a papa Onorio III di poterle ripetere per il Natale successivo. Ma il papa, essendo vietati dalla Chiesa i drammi sacri, gli permise solo di celebrare la messa in una grotta naturale invece che in chiesa. Il presepe che San Francesco creò nella grotta di Greggio, fatto di figure intagliate, paglia e animali veri, divenne molto popolare, di una popolarità travolgente che crebbe fino ad espandersi in tutto il mondo. Il primo presepe con tutti i personaggi risale al 1283, per opera di Arnolfo di Cambio, scultore di otto statuine lignee che rappresentavano la natività e i Magi. Questo presepe e conservato nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
Molti sono i personaggi e i significati simbolici. di un presepe: il bue e l'asinello rappresentano il popolo ebreo e dei pagani; i Magi sono simbolo delle tre età dell'uomo (gioventù, maturità e vecchiaia) e delle tre razze in cui si divide l'umanità (semita, giapetica e camita) e i loro doni (l'incenso, oro e mirra) rapresentano rispettivamente la Divinità di Gesù: la sua umanità e la sua regalità; gli angeli sono esempi di creature superiori; i pastori sono l'umanità da dirimere.

giovedì 8 dicembre 2011

Immacolata Concezione

L’Immacolata Concezione di Maria è un dogma della Chiesa Cattolica, proclamato ufficialmente l’8 dicembre 1854 da Papa Pio IX. Come la maggior parte dei dogmi, tuttavia, anche questo non introduce alcuna novità, ma viene a “certificare ufficialmente” e formalmente una realtà già ampiamente riconosciuta e di antica tradizione.
Già gli antichi Padri della Chiesa d’Oriente, nell’esaltare la Madre di Dio, avevano avuto espressioni che la ponevano senza alcun dubbio al di sopra del peccato originale. L’avevano chiamata: “Intemerata, incolpata (nel senso di “senza colpa”), bellezza dell’innocenza, più pura degli Angioli, giglio purissimo, germe non- avvelenato, nube più splendida del sole, immacolata “.
L’indicare il dogma dell’Immacolata Concezione come una “invenzione del 1800″ è un clamoroso falso storico, poichè la tradizione di Maria Immacolata e senza peccato risale ai primi secoli del cristianesimo. Papa Pio IX ha solo “certificato” e ufficializzato tale lunga ed affermata tradizione.
Con questo dogma dell’Immacolata Concezione di Maria si vuole infatti indicare quel particolare privilegio in virtù del quale la Madonna, piena di grazia e benedetta tra le donne, in vista della nascita e della morte di Cristo, fu sin dal primo momento della sua concezione, per singolare privilegio di Dio, preservata immune da ogni macchia della colpa originale.
Al contrario di come molti erroneamente pensano, la festa dell’Immacolata Concezione dell’8 dicembre si riferisce al concepimento “immacolato” di Maria e non al concepimento verginale di Gesù.
Spesso parlando dell’Immacolata Concezione ci si sofferma esclusivamente sull’assenza del peccato originale, mentre è anche molto importante evidenziare l’aspetto della pienezza di grazia che questo singolare privilegio ha comportato per la Madonna (come recitiamo nell’Ave Maria). In virtù del suo immacolato concepimento, Maria è l’unica creatura che ha vissuto davvero in pienezza la propria esistenza secondo il piano di Dio, l’unica che ha sempre amato Dio profondamente e in modo pieno sopra ogni cosa.

mercoledì 7 dicembre 2011

L'agrifoglio

L'usanza di decorare la casa con ramoscelli di pungitoglio è una delle più antiche e gioiose tradizioni natalizie. Si credeva che le foglie acuminate e pungenti come armi di difesa avessero il potere di scacciare gli spiriti maligni. Pianta sempre verde e simbolo di vita perenne, con le sue bacche rosse esprime esultanza e gioia e si accompagna bene alla letizia della nascita di Gesù.
Una leggenda narra la storia di un piccolo orfanello che viveva presso alcuni pastori quando gli angeli araldi apparvero annunciando la lieta novella della nascita di Cristo. Sulla via di Betlemme, il bimbo intrecciò una corona di rami d'alloro per il neonato re. Ma quando la pose davanti a Gesù, la corona gli sembrò così indegna che il pastorello si vergogno per il suo dono e cominciò a piangere. Allora Gesù bambino toccò la corona, fece in modo che le sue foglie brillassero di un verde intenso e cambiò le lacrime dell'orfanello in bacche rosse. Queste ultime sono anche uno dei cibi preferiti del pettirosso, l'uccellino che cercò di alleviare la sofferenza di Gesù sulla croce, beccando le spine della dolorosa corona, tanto da avere il petto arrossato dal sangue divino.

mercoledì 30 novembre 2011

Le ghirlande

Si racconta che una vigilia di Natale, quando Gesù andò a Benedire gli alberi di Natale, notò che l'albero di una casa era coperto di ragnatele tessute da strani ragni.
Quando diede la benedizione all'albero, Gesù trasformò le ragnatele in stupende ghirlande d'oro e d'argento. Da allora noi le usiamo per decorare i nostri abeti a Natale. 
Le campane
I pastori si affollarono a Betlemme mentre viaggiavano per incontrare il neonato re. Un piccolo bimbo cieco sedeva sul lato della strada maestra e, sentendo l'annuncio degli angeli, pregò i passanti di condurlo da Gesù Bambino. Ma nessuno aveva tempo per lui.
Quando la folla fu passata e le strade tornarono silenziose, il bimbo udì in lontananza il lieve rintocco di una campana da bestiame. Pensò: "Forse quella mucca si trova propio nella stalla dov'è nato Gesù Bambino!".  E seguì la campana fino alla stalla dove la mucca portò il bimbo cieco fino alla mangiatoia dove giaceva il Figlio di Dio.

lunedì 28 novembre 2011

L'Albero di Natale

Molte leggende raccontano che l'abete è uno degli alberi del giardino dell'Eden.
Uno narra che esso è l'albero della Vita le cui foglie si avvizzirono ad aghi quando Eva colse il frutto proibito e non fiorì più fino alla notte in cui nacque Gesù Bambino. Un'altra racconta che Adamo portò un ramoscello dell'albero del Bene e del Male con lui dall'Eden. Questo ramoscello più tardi divenne l'abete che fu usato per l'albero di Natale e per la Santa Croce.
L'origine dell'abete come simbolo natalizio ci è narrata da molte altre antiche storie: la più importante è quella del miracolo compiuto dal Santo Bonifacio, missionario nei dintorni di Geismar nella Germania settentrionale, che notò alcuni pagani adorare una quercia per preparare il sacrificio del piccolo principe Asulf al dio Thor. San bonifacio li fermò ed abbattè la quercia. Appena essa cadde, apparve un'abete: San Bonifacio spiegò allora al popolo che l'abete, sempreverde, era l'albero della vita e che rappresentava Cristo.
Un'altra leggenda racconta di un uomo che in Alsazia, rientrando a casa la notte di Natale vide il meraviglioso spettacolo delle stelle che brillavano attraverso i rami di un abete. Per spiegare alla moglie ciò che aveva visto tagliò un piccolo abete e lo ornò di candeline accese. Nacque così il primo albero di Natale.
L'albero di Natale è una consuetudine dei culti solari che venivano celebrati nelle foreste nordiche d'Europa ed è simbolo dell'assoluto perchè punto d'incontro fra cielo e terra. Per ringraziare la Terra della sua generosità ed in segno di buon auspicio per i successivi raccolti, i contadini appendevano sugli alberi i frutti dei loro raccolti. Dopo gli alberi si arricchirono di frutti colorati, ghirlande e candeline.
La prima ripresa di questa usanza avvenne  a Strasburgo in Germania nel 1539, ma solo nel 1800 diventò un'usanza generale. Fabbricanti tedeschi e svizzeri cominciarono a produrre ninnoli di vetro soffiato, successivamente gli americani aggiunsero l'idea delle lampadine. Poi nel 1840 la duchessa di Orleans, imitando l'ambasciatore asburgico, fece addobbare un enorme  albero nel giardino di Tuilleries e la moda dilagò tra tutte le corte europee.
Oggi quella dell'albero di Natale è, con il presepe,  una delle più diffuse tradizioni natalizie. Palline, fiocchi colorati di tessuto, festoni, fili perlati, miniluci elettriche, decorazioni in pasta di sale e marzapane, frutta secca, arance e piccoli personaggi (Babbo Natale, angeli, renne e così via) addobbano l'abete, sotto il quale è usanza porre i regali.
L'albero di Natale più grande del mondo è quello di Gubbio, un collage di corpi luminosi disseminati lungo le pendici del monte Iginon che ha vinto il Guinnes dei primati nel 1991.

sabato 26 novembre 2011

Il ceppo Natalizio

E' dalla festa del "Sol Invictis" che risale l'usanza del ceppo natalizio, ceppo che nelle case doveva bruciare per dodici giorni consecutivi e doveva essere preferibilmente di quercia, un legno propiziatorio: da come bruciava o dalle sue scintille si presagiva come sarebbe stato l'anno futuro.
Le ceneri venivano conservate e usate come rimedi contro malattie e calamità.
Soprattutto in passato, nella notte di Natale, si accendeva nel caminettto un gran ceppo di abete per rendere confortevole l'ambiente in segno di ospitalità, di accoglienza alla venuta del Figlio di Dio.

venerdì 25 novembre 2011

Il lungo periodo Natalizio

Il Natale si festeggia in ogni parte del mondo: nel mese di dicembre tutti i popoli, cristiani e non cristiani, celebrano feste di pace, fratellanza gioia e prosperità, ciascuno secondo la propia cultura e le propie tradizioni.
E questo accade fin dai tempi più remoti.
Con il solstizio d'inverno comincia un lungo periodo di festeggiamenti e di riti rurali in onore della "rinascita" del sole: le giornate iniziavano ad allungarsi con l'augurio e la speranza di raccolti copiosi e di cibi per tutti. Così gli antichi Egizi festeggiavano la nascita del Dio Horus, i Greci quella del Dio Dionisio, gli Scandinavi quella del Dio Frey. Nell'antica Roma si celebrava Saturno, dio dell'agricoltura, con sontuosi banchetti e scambi di doni. Nel 207 d.C. l'imperatore Aureliano decise che il 25 dicembre si festeggiasse il "Sole Invincibile" e nel mondo romano quel giorno divenne una gran festa.
I Cristiani sostituirono i riti pagani con la festa della nascita di Gesù. Colui che avrebbe sconfitto le tenebre portando pace e salvezza a tutta l'umanità, mantenendo delle antiche tradizioni lo spirito di gioia e di speranza che la luce divina porta in ogni cuore.
Per questo il Natale è augurio di bontà, serenità e gioia.
I fuochi che ancora oggi brillano nelle campagne di alcuni paesi la notte di Santa Lucia, i doni che Babbo Natale  porta ai bambini, gli alberi di Natale che fino a pochi anni fa venivano adornati con dolcetti e candele e che ora sono piene di lucine e palle colorate, i cenoni, ci riportano a quelle atmosfere magiche dei tempi antichi.

martedì 22 novembre 2011

La storia della Coca Cola

È il 1886, siamo all’apice dell’età dell’oro negli Stati Uniti. La guerra civile americana è appena finita e la grande nazione si prepara per l’era moderna che è ormai alle porte.
Tutto è veloce e futuristico, un clima di gioia e speranza come mai si era visto prima. E’ in questo periodo che con una piccola inserzione pubblicitaria su un quotidiano di Atlanta nasce uno dei più famosi marchi al mondo: Coca Cola.
La Coca Cola viene inventata infatti da un farmacista di Atlanta, John Stith Pemberton. “Farmacista” è però per l’epoca una parola grossa: dovete capire infatti che all’epoca negli Stati Uniti non c’erano praticamente regole per quanto riguarda la somministrazione di farmaci e si faceva a gara per chi tirava fuori il liquido, crema o unguento più miracoloso e curativo.
Tutte queste medicine o presunte tali venivano vendute da “dottori” o “farmacisti” agli angoli delle strade in un chiassoso circo medico che animava i quartieri della grandi città. Pemberton non fa eccezione: comprata la sua “licenza” per 5 dollari si fa chiamare dottore e faceva credere di riuscire a guarire praticamente ogni malattia facendo bere veleni e purghe ai poveri malcapitati dell’epoca.
Molti di questi farmaci contengono elevati contenuti di alcool e droghe pesanti.. o spesso di entrambi. Il Laudano per esempio, un diffuso antidolorifico dell’epoca, è una soluzione di Oppio e Alcool. Altri ancora contengono dosi fortissime della nuovissima sostanza delle meraviglie nel 1886: la Cocaina.
La Cocaina, praticamente sconosciuta all’epoca, diventa famosa nel 1884, quando un famoso generale della guerra civile si ammala di cancro e comincia ad usarla per “tirarsi un po’ su”.. effettivamente la cocaina lo aiuta parecchio prima della morte e la notizia si diffonde in tutti gli Stati Uniti: se il Generale Grant, la figura più popolare del paese, l’ha usata con successo allora deve essere proprio un rimedio miracoloso!
Pemberton cominciò ad usare Cocaina e Caffeina in molte delle sue prime creazioni, tra cui ne spiccò subito una: il famoso “vino francese di Coca” o
“Pemberton’s French Wine Coca”.
Fu il suo più grande successo prima di dedicarsi alla Coca Cola ed era una combinazione di Cocaina, Alcool e Caffeina.
Il vino francese di coca vende bene in tutta la Georgia, ma purtroppo il prodotto ha vita breve: arriva infatti nel 1885 la prima epoca del proibizionismo negli Stati Uniti e l’ingrediente principale, l’Alcool, viene messo fuori legge.
Pemberton è disperato: il vino francese di coca era appena uscito e stava andando alla grande. Decide così di abbandonare il mercato dei farmaceiutici miracolosi e di darsi ad un nuovo e fiorente settore: quello delle bibite analcoliche.
La competizione è fortissima: ci sono 5 grandi bar ad Atlanta in quel periodo che servono solo (per ovvi motivi) bitite analcoliche rinfrescanti durante l’afosa estate del 1885.
Queste bibite vengono create direttamente al banco e ne esistono fino a 300 varietà diverse, tutte pubblicizzate da strani ed altisonanti nomi, come l’Hires Root Beer, il White Rock Ginger Ale.. e così via.
La sfida di Pemberton è trasformare la sua mistura di Alcool e Cocaina in una bibita analcolica e rinfrescante.
Il risultato è tutt’altro che leggero: massicce dosi di Cocaina e di estratto di Cola, una noce africana il cui principio attivo è la caffeina, vengono mischiate per ottenere una bibita che, non contenendo Alcool, poteva essere venduta nei bar.
Il gusto non era però certo buono e così vi aggiunse anche dello zucchero e un po’ di acidi che coprissero il sapore della Cocaina e della Cola.. ne venne fuori la prima Coca Cola.

La Nascita del Marchio
L’idea del nome Coca Cola è dovuta al contabile di Pemberton, Frank Robinson.
Robinson inventò il marchio Coca Cola sfruttando la sua bella calligrafia da contabile e ne modificò il nome utilizzando la “C” in “Cola”. In inglese infatti la Cola si chiamerebbe “Kola”.



Passò settimane a modificare e perfezionare la scritta “Coca Cola” e la sua calligrafia divenne così il marchio che oggi conosciamo in tutto il mondo.
Le vendite vanno però a rilento, solo 95 litri il primo anno. Pemberton era un pessimo uomo d’affari, aveva dichiarato banca rotta svariate volte e nessuno voleva fare affari con lui.
Oltre tutto come molti dei finti dottori dell’epoca soffriva di un male ancora sconosciuto: era diventato dipendente dalla Cocaina, lo stesso ingrediente che utilizzava in grandi quantità ogni giorno lo stava uccidendo.
Pemberton era un cocainomane terminale e questo non aiutava certo i suoi affari.

Asa Griggs Candler
Nell’inverno del 1888 Pemberton muore. La Coca Cola sembra destinata a morire con lui, ma un imprevisto sopraggiunge ad aiutare la nostra bibita preferita.
Un intraprendente imprenditore e apprendista farmacista acquisterà infatti la formula della Coca Cola e fonderà la moderna Coca Cola Company: è Asa Griggs Candler.
Candler non era certo un genio, era piuttosto un arrampicatore sociale: era arrivato 4 anni prima ad Atlanta in cerca di fortuna e aveva girato ogni farmacia della città in cerca di lavoro, era stato anche dallo stesso Pemberton che però non lo aveva assunto.
In quattro anni riuscì a mettersi in proprio e a farsi il proverbiale “gruzzoletto”.
Le lunghe ore di lavoro lo portarono però ad avere frequentissimi mal di testa. Provò ogni rimedio possibile senza risultato finché non ricapitò per caso al negozio di Pemberton che gli fece provare la Coca Cola: fu un colpo di fulmine, la Coca Cola fece passare il mal di testa a Candler che si offrì subito di acquistare la formula del rimedio miracoloso.
Completamente al verde e prossimo alla morte Pemberton accetta l’offerta di Candler e cede la Coca Cola Company per 230 dollari nel maggio 1889.
La prima mossa di Candler fu quella di aggiungere più zucchero e anche prodotti citrici per mascherare il sapore medicinale che aveva all’epoca la Coca Cola.
La nuova Coca Cola ha ora un buon sapore e rimane di grande effetto grazie alle grandi dosi di caffeina e zucchero.

Nasce il Direct Marketing
Frank Robinson, il vecchio contabile di Pemberton ora responsabile della pubblicità per Candler, ne fa un’altra delle sue inventando quella che è riconosciuta come la prima campagna di direct marketing della storia: entra nelle principali farmacie e bar della città e si fa dare gli indirizzi dei clienti migliori.
Invia a questi indirizzi un buono per ottenere una bevuta gratuita di Coca Cola: è un successo strepitoso, chi può resistere ad una bevuta gratis? e se poi il prodotto è buono.. un nuovo cliente è assicurato.
Sotto la spinta di questa campagna la Coca Cola diventa famosa in tutto il paese: nel 1901 le vendite salgono a 2 milioni di litri, 60 milioni di boccali venduti.
L’America è dipendente dalla Coca Cola. Ma purtroppo ci si cominciò a chiedere se questa dipendenza non fosse solo figurativa, ma reale: cominciarono ad uscire su varie riviste nazionali del paese articoli che dimostravano come la Cocaina desse dipendenza fisica e la sostanza che tanto era in voga fino a vent’anni prima cominciò ad essere vista come un veleno, quale in effetti è.
C’erano storie di persone dipendenti dalla Coca Cola e da altre bevante contenenti Cocaina.. non certo una buona pubblicità per la società di Candler.
Nel 1906 Candler torna quindi in laboratorio per elaborare un complicatissimo procedimento che elimini qualsiasi traccia di droga dalla Coca Cola.
La decocainizzazione della Coca Cola coincide anche con un taglio netto nella strategia pubblicitaria: non si preme più sulle favolose e presunte proprietà curative del prodotto, ma lo si pubblicizza ora solo come bibita analcolica rinfrescante: è la nascita della Coca Cola moderna.

La Leggendaria Bottiglietta
La Coca Cola diventa un vero e proprio fenomeno di massa, il successo è strepitoso, si può trovare letteralmente ovunque. Dal 1899 si comincia anche ad imbottigliarla: mentre prima era possibile bere Coca Cola solo spinata nei tanti bar di paese o cittadini è ora possibile comprarla anche in bottiglia negli alimentari e nelle drogherie.
Ma il tanto successo nazionale attira ovviamente una folta schiera di imitatori che con nomi, ingredienti e gusti molto simili alla Coca Cola vogliono approfittare della sua fama per fare un po’ di soldi facili.
La Coca Cola si rivela fin da subito molto combattiva nella lotta alle imitazioni, porta in causa tutti i suoi concorrenti, vincendo e facendone fallire la maggior parte, e soprattutto Candler ne tira fuori un’altra delle sue: fa creare una confezione unica ed inconfondibile per il suo prodotto, nasce la leggendaria bottiglietta in vetro della Coca Cola.
Talmente riconoscibile che “anche un cieco potrebbe riconoscerla” come ama ribadire lo stesso Candler.
Il risultato diventa un vero e proprio simbolo americano, è il 1916.
La stessa bottiglia venduta ovunque, un brand forte in un packaging unico e riconoscibile: non si può certo dire che la Coca Cola e Candler non furono i precursori del Marketing moderno!
Lo stesso Candler attribuisce l’enorme successo della Coca Cola sia al suo buon sapore quanto all’ottima strategia di marketing intrapresa negli anni dalla sua società.
Nonostante il successo Candler decide nel 1919 di vendere la Coca Cola Company. Si reputa un uomo d’affari arrivato e vuole concedersi il dovuto riposo negli ultimi anni della sua vita.

Ernest e Robert Woodruff
E’ un ricco finanziere e faccendiere dell’epoca il primo ad interessarsi all’acquisto della Coca Cola: Ernest Woodruff.
Woodruff non era molto amato. Era una specie di
Ebenezer Scrooge dell’epoca. Poco socievole e con la testa solo nei suoi affari, Ernest era quello che si dice uno squalo senza scrupoli.
Candler lo conosce per fama e non vorrebbe vendere la sua azienda ad una persona di così pochi principi. Mette sul mercato la Coca Cola per una cifra spropositata, 25 milioni di dollari, cercando di mettere fuori gara Woodruff.
Ma Woodruff grazie a varie e riuscite operazioni finanziarie riesce a racimolare l’investimento e compra la Coca Cola Company. Chiude l’affare pensando solo ad un buono, ottimo, investimento, non ha intenzioni di prendere in mano la società in prima persona.
Nel 1924 Ernest passa la guida della Coca Cola Company a suo figlio, Robert Woodroof.
Robert accetta l’incarico solo dopo aver chiarito con suo padre che aveva intenzione di essere un vero manager e che sarebbe stato l’unico ad avere l’ultima parola su ogni decisione che riguardasse l’azienda.
Robert è molto interessato alla gestione dell’azienda e supervisiona ogni aspetto, dalla produzione al marketing: la Coca Cola Company ha ora un nuovo ed intraprendente timoniere che la porterà a successi assolutamente fuori da ogni aspettattiva.

Il mito di Babbo Natale
La Coca Cola è frequentemente citata come l’inventrice del “Babbo Natale moderno” e cioè di quello classico, che a noi tutti viene in mente quando pensiamo a Babbo Natale: un uomo anziano, ben piazzato, con barba e capelli bianchi e il vestito rosso.. ecc.Al contrario di quello che si pensa questa immagine di Babbo Natale era già largamente in uso negli anni 30 quando la Coca Cola cominciò ad usarla per le sue campagne natalizie.
Non solo: la prima azienda produttrice di bibite che usò il Babbo Natale moderno fu in realtà la
White Rock Beverages, prima nel 1915 per vendere acqua minerale e poi nel 1923 per vendere il suo Ginger Ale.
Insomma, tutte le storie che parlano di un Babbo Natale diventato rosso per volere della Coca Cola sono purtroppo non veritiere, rimane comunque il merito alla Coca Cola di aver fatto entrare questa immagine nell’immaginario collettivo attraverso un uso costante negli anni.
Insomma, magari non l’avranno inventato, ma di sicuro l’hanno reso universale.

La Pepsi Cola
La Pepsi Cola nasce nello stesso periodo della Coca Cola, da un altro farmacista, Caleb Bradham, a New Bern nel North Carolina.
Al contrario della Coca Cola la Pepsi Cola nasce immediatamente come bibita rinfrescante, non come medicinale, anche se inizialmente viene pubblicizzata come “la bibita rinfrescante che ti aiuta a digerire”.
Il “Pepsi” in “Pepsi Cola” fa infatti riferimento alla Pepsina, un prodotto che effettivamente aiuta la digestione. Peccato che come per la Coca Cola il nome è ingannevole anche per la Pepsi Cola: non ci sono infatti tracce di Pepsina nella famosa bibita, fin dalla sua nascita.
Fatto sta che la Pepsi è l’unico concorrente della Coca Cola a farsi strada nei gusti degli americani ad inizio secolo. Il successo della Pepsi Cola è secondo solo a quello della Coca Cola fino a quando non scoppia la Prima Guerra Mondiale, nel 1915.
Il prezzo dello zucchero, elemento fondamentale nella Pepsi come nella Coca Cola, sale a dismisura e mette in crisi la produzione di entrambi le famose bevande rinfrescanti.
Bradham si prende un rischio enorme acquistando grandi quantità di zucchero ed investendo forti somme in borsa sicuro che lo zucchero non potrà che proseguire a salire.
Sfortunatamente il prezzo dello zucchero crolla improvvisamente, da 22 centesimi a meno di 3: Bradham e la Pepsi Cola Company si ritrovano in banca rotta.
Bradham torna alla sua farmacia e chiude l’azienda. La storia della Pepsi finirebbe qui se non fosse per un clamoroso errore della Coca Cola.

I Lovft Candy Store
Negli anni venti, anche grazie al proibizionismo, la vendita di analcolici ha un boom semplicemente inarrestabile. Anche durante la prima recessione le vendite di Coca Cola non fanno altro che salire, chiunque non vuole togliersi il piacere di una buona e fresca bevuta per un solo nichelino (5 centesimi, il costo di una spillata di Coca Cola).
I Loft Candy Stores, una catena di bar con sede a New York, da sola vende quasi 4 milioni di Coca Cole l’anno.
Nel 1932 il presidente della Loft, Charles Guth, si rivolge a Robert Woodruff chiedendo uno sconto.
Woodruff gli nega qualsiasi tipo di agevolazione, forte del successo nazionale che ha con il suo prodotto e per ripicca Guth decide di acquistare Pepsi Cola, da poco fallita, e di venderla nei suoi popolari bar al posto della Coca Cola.
La decisione però non ri rivela delle migliori: venduta solo nei bar di Guth la Pepsi Cola non ha abbastanza successo per tenere in piedi un impianto produttivo e una distribuzione adeguata e si ritrova una seconda volta in bancarotta.
Guth decide così di proporre a Coca Cola di acquistare Pepsi Cola: è qui che Robert Woodruff, presidente di Coca Cola Company fa il suo più grande errore: rimanda a casa Guth dicendogli che non ha in mano niente, che la Coca Cola non è interessa all’acquisto di quella che è ora solo una società fallita.
Woodruff perde l’occasione d’oro di acquistare e distruggere Pepsi Cola prima che diventi una vera minaccia e non solo: la sua arroganza rafforza la determinazione di Guth che si rimette in carreggiata deciso a rimettere in piedi la Pepsi Cola Company.
E’ un errore storico di proporzioni ancora impensabili per la Coca Cola Company.

La Grande Depressione e la rinascita di Pepsi Cola
Nel 1934 l’America è nella tenaglia della Grande Depressione. Milioni di disoccupati fanno la fila per avere un pasto caldo gratuito e 5 centesimi, il costo di una bevuta di Coca Cola, sono un mucchio di soldi per un affamato consumatore.
Guth, il proprietario di Pepsi Cola, decide quindi a puntare sul prezzo per spingere la sua bevanda: compra in tutta la nazione bottiglie di birra usata, da cui può facilmente togliere l’etichetta e sostituirla con quella della Pepsi, e si mette a vendere bottiglie da 36 centilitri a 5c: la Coca Cola per lo stesso prezzo offriva da sempre la sua bottiglietta da 18 centrilitri.

Pepsi stava vendendo un prodotto simile, ugualmente buono, allo stesso prezzo, ma in quantità doppia.
In pochi giorni una intera partita di Pepsi Cola va a ruba: la gente adora la formula 36 centilitri per un nichelino e la pubblicità di Pepsi spinge in questa direzione: “il doppio per un nichelino!”, “il più grande analcolico per un nichelino!” e così via.

In soli sei mesi Pepsi passa dalla bancarotta ad un utile di centomila dollari. Certo le vendite di Pepsi Cola sono ancora una minima frazione di quelle di Coca Cola, ma ciononostante la concorrenza è concorrenza la Coca Cola sente di avere ora un concorrente forte e deciso.
La Seconda Guerra Mondiale
Quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale Coca Cola fu pesantemente minacciata dal razionamento dello zucchero che avrebbe dimezzato le vendite nazionali e portato la società al rischio di fallimento.
Robert Woodruff decide così di recarsi a Washington per parlare al governo. Il messaggio per i politici di Washington è chiaro: la Coca Cola è una necessità in tempo di guerra in quanto la bibita rinfrescante più famosa d’America non solo è un simbolo nazionale, ma una esperienza che fa parte oramai della vita quotidiana.
Incredibilmente Woodruff ha successo e convince il governo non solo a dargli tutto lo zucchero di cui ha bisogno, ma addirittura a diventare il fornitore ufficiale dell’esercito americano! milioni di casse di Coca Cola vengono distribuite prima in tutti i campi di addestramento dell’esercito e poi spediti in tutti i luoghi in giro per il mondo dove l’America sta combattendo.
Non esiste campo militare nel mondo che non abbia un piccolo impianto per spinare e conservare al fresco la Coca Cola che diventa ora non solo una ottima bibita, ma il vero ricordo di casa per i militari che combattono a migliaia di miglia da casa.
Bere una Coca Cola al ritorno da una missione è per i soldati come tornare nel cortile di casa a sorseggiare la propria bibita preferita all’ombra di una bella quercia. Coca Cola porta il sapore di casa ai soldati.
La Coca Cola entra così definitivamente nel cuore degli americani, in Patria come all’estero: è senza dubbio alcuno una delle mosse di marketing più azzeccate e riuscite della storia.
Oltre a questo Coca Cola sferra un attacco letale a Pepsi Cola: non solo il suo prodotto è ora bevuto e pubblicizzato in tutto il pianeta, ma oltretutto può disporre in tempo di guerra di tutto lo zucchero che vuole, cosa che la Pepsi Cola Company non può fare!
Durante la Seconda Guerra Mondiale i militari americani in giro per il mondo consumano 10 miliardi di bottigliette di Coca Cola. C’erano degli ispettori, detti Colannelli Coca Cola, che controllavano che il prodotto fosse prodotto ed imbottigliato correttamente. E’ il sogno di ogni direttore marketing al mondo.

Il dopo Guerra
All’ingresso degli anni cinquanta e sessanta Coca Cola è praticamente invincibile: è diventata un simbolo americano, tutti l’adorano, è presente in tutto il mondo con vendite annue pari a quasi un miliardo di dollari.
Il successo però, come spesso succede, porta a scelte sbagliate. Woodruff si ostina per esempio a non volere cambiare più niente da un punto di vista marketing: se aveva funzionato fino ad ora perché cambiare?
Il prezzo di 5c rimase invariato nonostante gli ingredienti salissero di prezzo, la Coca Cola era l’unico prodotto distribuito dai distributori automatici dell’azienda mentre la concorrenza stava differenziando molto e in più veniva ancora distribuita unicamente e solo nelle famose bottigliette da 18 centilitri.
L’industria degli analcolici però in quel periodo, come in tutto il resto, cambia e si espande rapidamente. Servono nuove idee e qualità imprenditoriali come il coraggio per reggere in questo nuovo mercato, tutte cose su cui Woodruff, ormai invecchiato e soprattutto appagato dal successo, non può più contare.
Pepsi è più dinamica, propone nuovi prodotti e nuovi tipi di distribuzione, differenzia il mercato e lancia campagne pubblicitare aggressive.
Per più di 70 anni (dal 1886 al 1959) il prezzo di una bottiglia di Coca-Cola è rimasto bloccato a 5 centesimi di dollaro; un caso davvero eccezionale di quella che gli economisti chiamano la “rigidità del prezzo nominale”, ampiamente studiato ed analizzato. Una parte della risposta sta nel problema del costo di adeguare ad un nuovo prezzo i distributori automatici ma si deve tenere presente anche la difficoltà di convincere i consumatori ad accettare un aumento del 100%, con il passaggio del prezzo da 5 a 10 centesimi di dollaro (il taglio di moneta superiore). In effetti il presidente della Coca- Cola nel 1953 scrisse al Presidente Eisenhower per suggerirgli una moneta da 7 centesimi e mezzo. Nel 1960 infine il prezzo si spostò da 5 a 10 centesimi; per giustificare il nuovo prezzo Coca Cola introdusse una bottiglia più grande, “King Size Coke”, lanciò una campagna pubblicitaria ad hoc e introdusse nuovi distributori automatici.

La Pepsi Generation
La guerra tra le Cole è però solo all’inizio e c’è una nuova arma nelle mani delle due aziende che è appena arrivata nelle case di tutti gli americani: la televisione.
La Pepsi è la prima ad usare la televisione efficacemente: ignora l’amore per la Coca Cola dei reduci dalla Seconda Guerra Mondiale e si concentra sui loro figli.
Figli ribelli, stufi di sentire le storie di guerra dei genitori, proiettati al futuro e in piena epoca Hippie. il 68 e il clima di cambiamento posiziona Pepsi come la bibita del nuovo e Coca Cola come il simbolo della tradizione e, di conseguenza, del vecchio.
Chi beve Coca Cola è un tradizionalista, un vecchio, chi beve Pepsi al contrario è un figo, uno sveglio, uno che vuole provare cose nuove e non ha paura del futuro.
I giovani bevono e vogliono Pepsi. E’ la Pepsi Generation.
Pepsi invece di parlare del prodotto si concentra sul target: invece di dire quanto è buona la sua bibita fa vedere negli spot televisivi chi la beve. Giovani hippie accampati in mezzo alla natura e con i fiori in testa sorseggiano Pepsi al tramonto: sono questi gli spot dell’epoca che più entrano nell’immaginario dei giovani.

Pepsi per prima sposta la comunicazione dal prodotto al suo target, è una mossa vincente che gli fa guadagnare importanti quote di mercato e fa tremare Coca Cola.
Ovviamente ci vuole poco a capire che se si lascia il mercato dei giovani alla concorrenza non si avranno più clienti in futuro (pensiamo a quanto fa McDonalds per i bambini, non certo a caso!) e Coca Cola risponde con uno degli spot televisivi più famosi della storia, eccone la versione italiana:

The Pepsi Challenge
Nonostante la nuova verve pubblicitaria di Coca Cola abbia successo, Pepsi continua a guadagnare quote di mercato e sferra un attacco decisivo alla sua concorrente: inventa il Pepsi Challenge.
Nel 1984 lancia una enorme campagna pubblicitaria in tutta la nazione in cui Coca Cola e Pepsi venivano servite in confezioni non riconoscibili, alla stessa temperatura, e in sequenze casuali.
Furono eseguiti 11 milioni di questi test (!!!) e alla fine il risultato fu sorprendente: La Pepsi se non riconosciuta veniva preferita dalla stragrande maggioranza dei consumatori.
La campagna ha un successo senza precedenti e Pepsi si ritrova a inseguire Coca Cola per meno di 3 punti percentuali.
Non era mai successo prima. In alcuni mercati addirittura la Pepsi vendeva più della Coca Cola. Per i dirigenti della grande azienda di Atlanta è il panico. Agli inizi degli anni ottanta è avvenuto l’impossibile.

The New Coke
Robert Woodruff è ormai alla fine dei suoi anni, vecchio e non più in grando di reggere l’azienda, passa la mano ad uno dei suoi luogotenenti. Il giovane ed intraprendente Roberto Goizueta diventa l’amministratore delegato della Coca Cola Company.
Goizueta come prima operazione per rilanciare il marchio e il prodotto pensa e realizza l’impensabile: modifica la storica formula della Coca Cola e si accinge a lanciare sul mercato una nuova Coca Cola, The New Coke.
Il gusto della nuova Coca Cola si avvicina scandalosamente a quello della Pepsi, è più dolce e meno acida, proprio come la Pepsi, e non è certo un caso: i dirigenti di Coca Cola pensano che cambiare il proprio gusto ed avvicinarsi a quello della concorrenza sia una buona mossa. Niente di più sbagliato.

Nella primavera del 1985 Robert Woodruff muore. E’ la fine di un’era.

Il 23 aprile 1985 viene lanciata sul mercato la nuova formula. Nonostante ci si affanni a proclamare la “New Coke” come un prodotto nuovo ed innovativo è subito chiaro a tutti i consumatori che ci si ritrova di fronte ad una imitazione riuscita male della Pepsi. Il gusto simile scontenta tutti: chi preferiva il gusto Coca Cola e chi ovviamente preferiva il gusto Pepsi.
Non solo: in pochi giorni la sede della Coca Cola Company riceve migliaia e migliaia di telefonate da consumatori adirati che minacciano azioni legali e rappresaglie contro l’azienda.. perché aveva cambiato uno dei simboli di america.
Psicologi messi in ascolto in certe telefonate descrivono questi consumatori come padri a cui è stato tolto un figlio, talmente arrabbiati da minacciare pesantemente i dirigenti Coca Cola.
Nascono gruppi di attivisti ed sostenitori della vecchia formula, in tutto il Paese si insorge contro la New Coke. insomma una vera e propria rivoluzione. Cartelli con “The Real Taste is Gone” spuntano ovunque.
La Pepsi ovviamente non può che ridersela e le sue quote di mercato aumentano esponenzialmente fino a superare quelle della Coca Cola in tutti gli Stati Uniti.

Coca Cola Classic

Già a luglio è chiaro che la mossa di Goizueta non è stata quella che si dice una mossa intelligente.
La Coca Cola ha perso quote di mercato e le vendite sono in picchiata, la Pepsi Cola è la bibita analcolica più venduta negli Stati Uniti e guadagna quote in tutto il mondo.
La soluzione è solo una: tornare indietro. Viene reintrodotta la vecchia e amata formula della Coca Cola che da allora è la “Coca Cola Classic” e con la vecchia formula magicamente tornano a volare le vendite e le quote di mercato ritornano a sorridere all’azienda di Atlanta.
Il ritorno della Coca Cola Classic è un grande successo. Gira addirittura la leggenda che lo storico fiasco della New Coke sia stata una enorme e programmata manovra di marketing per preparare il ritorno alla vecchia formula e rilanciare pomposamente un prodotto oramai visto come vecchio.
Non sapremo mai se questa leggenda è vera o no, certo sarebbe bello pensare che gli stessi uomini che hanno scritto interi capitoli del grande libro del marketing moderno si siano spinti tanto in là da programmare il più grande fiasco del secolo.. solo per poi avere tra le mani il più grande rilancio di un prodotto del secolo.

Tutto il resto, come si dice, è storia.